Sbarca al Trento Film Festival Ghost of the mountains
E' il documentario dei ricercatori del MUSE sulle tracce del leopardo delle nevi
Photo credit Claudio Groff.
E’ uno dei più misteriosi e carismatici grandi felini al mondo: è il leopardo delle nevi (Panthera uncia).
Venerdì 6 maggio, alle 18.00, il MUSE partecipa al Trento Film Festival con Ghost of the mountains, documentario che racconta la spedizione dei ricercatori della Sezione di Biodiversità tropicale del MUSE nelle più impervie aree della Mongolia del nord per seguirne le tracce.
Il film segue il loro viaggio e il lavoro, compiuto attraverso la tecnica foto-trappolaggio, per determinare presenza e il numero di leopardi delle nevi in quell’area.
Girato dal regista Frederik Wolff Teglhus e da Annalisa Brambilla è una co-produzione dei due partner principali del progetto, MUSE e il Natural History Museum of Denmark.
La proiezione, della durata di 50 minuti, si inserisce nella rassegna NaturaDOC, la speciale selezione dedicata ai documentari naturalistici che il MUSE ospita all’interno della programmazione del festival.
Ghost of the mountains - la spedizione
Il team di spedizione, composto da 4 ricercatori, 2 video-operatori e 2 ranger mongoli dell’Ufficio governativo dedicato alle aree protette, è approdato verso la metà di marzo 2015 fino a 2000 metri al margine della steppa nel Parco Naturale «Siilkhem B» e ha fissato il proprio campo base in una rudimentale casetta di pastori.
Per le successive due settimane il gruppo si è occupato di allestire i primi 25 siti di monitoraggio, attrezzati con 2 foto-trappole ognuno per un totale di 50 macchine posizionate in un’area di circa 1000 chilometri quadrati.
Il progetto ha avuto anche come finalità la formazione del personale locale, per condividere le tecniche di ricerca impiegate e proseguire così lo studio completando il posizionamento delle foto-trappole.
Nel corso degli ultimi 15 anni, la Sezione di Biodiversità Tropicale del MUSE ha condotto numerosi studi utilizzando la tecnica del foto-trappolaggio, che consiste nel posizionamento di una stazione fotografica collegata a un sensore che si attiva nel momento in cui l’animale entra nel raggio di azione dello strumento.
Grazie a questa metodologia è possibile rilevare in modo non invasivo la presenza delle specie di più difficile avvistamento e studiarne l’ecologia.
Tale tecnica ha permesso alla sezione di raccogliere rarissime immagini del leopardo delle nevi, per la prima volta documentato in modo sistematico nella regione dei Monti Altai, ma anche immagini di altri mammiferi presenti nell’area, dal lupo e stambecco fino al raro gatto di Pallas, piccolo e poco conosciuto felino che vive in Asia centrale.
Lo studio sul leopardo delle nevi è la prima mappatura in grado di determinare la consistenza del grande felino in quest’area, una priorità scientifica secondo lo Snow Leopard Network, panel che raggruppa tutti i maggiori esperti a livello internazionale di questa specie.
Il leopardo delle nevi
Inserito dall’IUCN - l’Unione Mondiale della Conservazione della Natura - nella categoria Endangered della lista rossa delle specie minacciate, il leopardo delle nevi conta solo poche migliaia di individui.
Un maschio adulto può raggiungere i 55 kg di peso per una lunghezza del corpo di 1,3 metri.
Ha un folto mantello grigiastro lievemente tinto di crema, con macchie scure a rosette irregolari.
La lunga coda, che può arrivare fino ad un metro di lunghezza, ha anche la funzione di proteggere quest’animale nei freddi inverni himalayani.
L’estrema elusività e l’habitat impervio in cui vive, le alte vette a più di quattromila metri di altitudine, ne fanno una specie così poco avvistata da essere diventata quasi mitica.
Nonostante sulle montagne della Mongolia sia presente un buon numero di leopardi delle nevi, queste popolazioni sono state oggetto di studio solo occasionalmente.
In particolare, la popolazione nei Monti Altai nella Mongolia nord-occidentale, al confine con la Russia, non è mai stata studiata.
L’ambiente montuoso scelto dalla spedizione che vede come capofila il MUSE - abitato soprattutto da kazaki di etnia, lingua e religione (musulmana) diverse dal resto del paese - rappresenta il tipico habitat preferito dal leopardo delle nevi, con cime che partendo da altipiani a circa 2000 metri superano quota 4.000.
Francesco Rovero
Francesco Rovero è zoologo e ecologo della conservazione, laureato nel 1995 in Scienze Naturali (Università degli Studi di Firenze), nel 2000 ha conseguito un Dottorato di Ricerca in ecologia animale (Bangor University, UK).
Dal 2002 si occupa di progetti di monitoraggio e conservazione della biodiversità in aree di foresta pluviale montana della Tanzania.
Il focus della sua ricerca è l'ecologia quantitativa di mammiferi forestali, studiata con metodi avanzati tra cui il fototrappolaggio. Collabora col MUSE dal 2003 e dal 2008 è Conservatore della Sezione di Biodiversità tropicale.
E’ autore di oltre 70 articoli scientifici, e co-editore di 2 libri.
Oltre alla Tanzania è coinvolto in progetti di ricerca nelle alpi orientali, Mongolia, Amazzonia.
Il regista
Frederik Wolff Teglhus ha un master in biologia e più di 10 anni di esperienza nei media e nell'industria cinematografica.
Ha cominciato lavorando come assistente di produzione e operatore video per film e pubblicità a Copenaghen, mentre oggi lavora a tempo pieno come operatore e direttore della fotografia per il Museo di Storia Naturale di Copenaghen, con un attenzione a documentari naturalistici e alla comunicazione scientifica.
Recentemente ha diretto e realizzato un corto sul tema della conservazione, RUBEN, selezionato per il «World international Film Festival» a Toronto, Hong Kong e Singapore, oltre che al Madeira Film Festival in Portogallo.
Il ciclo NATURA DOC al MUSE
4 maggio ore 18.00, L’orto degli dei, di Giuseppe Calabrese, Italia, 2015, 56’
L'alimentazione è uno dei temi centrali del nostro tempo, in quanto direttamente collegata a diverse altre questioni: il rispetto per la natura, il valore della tradizione, l'accesso al cibo.
L'orto degli dèi, girato nel Parco dei Nebrodi, racconta miti e memorie della cultura contadina come un possibile, antichissimo, modo di vivere in accordo con la natura a partire da un pensiero e da una fede che riconoscono nella natura il valore della creazione.
Film vincitore del Sondrio Festival
5 maggio ore 18.00, Baobabs entre terre et mer, di Cyrille Cornu, Francia, 2015, 56’.
Grazie alle loro forme incantevoli e imprevedibili i baobab sono tra gli alberi più affascinanti del pianeta, ma la deforestazione sta mettendo a repentaglio la loro esistenza.
Due avventurosi botanici, Cyrille Cornu e Wilfried Ramahafaly, decidono di intraprendere un viaggio a bordo di una piroga insieme alla tribù di pescatori nomadi dei Vezo, per esplorare 400 chilometri di costa selvaggia nel sud del Madagascar e studiare la vita segreta di queste piante.
Il risultato è un documentario spettacolare che ci porta in zone inaccessibili che non erano mai state filmate prima.
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