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La tragedia delle Foibe nella memoria di Rodolfo Borga

L’indignazione per quella che sembra dover diventare la giornata del non ricordo

Al di là della polemica politica che si legge nelle parole del consigliere provinciale Rodolfo Borga (Civica Trentina) a commento della risposta data dal presidente della Provincia autonoma di Trento a una sua interrogazione in merito alle celebrazioni delle Foibe (Giornata del Ricordo), vogliamo intervenire sull’argomento anche noi, perché da sempre abbiamo invocato giustizia nella memoria delle oltre centomila vittime delle rappresaglie avvenute nella Seconda Guerra Mondiale nella Venezia Giulia (ora ridotta alla stretta striscia che contiene Trieste).
Si tratta di una delle più brutte pagine di storia scritte un po’ da tutte le parti belligeranti che allora hanno operato in particolare in Istria, ai danni di inerte popolazione, colpevole solo di essere italiana, a volte anche senza avere quella «colpa».  
 
Il commissario del Governo di Trento ci aveva informato che, contrariamente al Giorno del Ricordo (Shoah) in cui tre cittadini sono stati insigniti dallo Stato, non c’era più nessuno da decorare in relazione alle Foibe.
Senza quel supporto ufficiale la Provincia autonoma di Trento e le altre autorità locali non hanno saputo trovare un momento istituzionale dignitoso per commemorare quel terribile olocausto (quasi) tutti italiani.
Ce ne dispiace, perché ancora una volta solo le formazioni di centrodestra e di destra si sono trovare a ricordare quelle tragedie, come se le vittime potessero avere un colore nella morte, dato che nella vita una appartenenza politica non ce l’avevano.
Nei particolari forniti nel comunicato che Rodolfo Borga ha inviato alle redazioni i sono delle imprecisioni.
Non vogliamo essere polemici anche noi in questo, per cui diamo spazio alla nota del consigliere provinciale per esteso (senza il titolo in quanto dissacrante).
Dopo il comunicato, tuttavia, abbiamo ritenuto opportuno aggiungere qualche parola alla tragedia da lui citata della povera Norma Cossetto. Almeno nella Giornata della memoria, ricordiamola correttamente.
GdM

Oggi la Giunta ha risposto ad una mia interrogazione a risposta immediata, con cui chiedevo, con riferimento all’anno 2013, quali fossero le iniziative promosse e finanziate dalla Giunta provinciale, anche in collaborazione con scuole ed altri soggetti, per diffondere la conoscenza della tragedia delle foibe e conservarne la memoria, quante le risorse finanziarie impiegate e a quali commemorazioni la Giunta avesse partecipato il 10 febbraio scorso.
Data, questa, in cui si celebra il Giorno per Ricordo, istituito con legge n. 92/04, che, tra l’altro, prevede che istituzioni ed enti promuovano sia iniziative finalizzate a diffondere la conoscenza di questa tragedia presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado, che studi, dibattiti e convegni in modo da conservare la memoria di tali vicende.
 
Nell’interrogazione ricordavo sinteticamente i numeri della tragedia. Migliaia e migliaia di persone assassinate e gettate nelle foibe, spesso dopo brutali sevizie, la cui sola colpa era quella di costituire un potenziale ostacolo alla politica espansionistica dei comunisti slavi: militari, insegnanti, impiegati dello Stato, sacerdoti e religiose, intellettuali, uomini e donne e financo partigiani bianchi.
Circa 350.000 persone che, per sfuggire alle persecuzioni, od alla morte, furono costrette a lasciare la loro Patria ed i loro beni.
E poi l’arrivo in un’Italia che nei confronti degli esuli mostrò disinteresse, quando non aperta ostilità.
Ed ancora oggi, a decine di anni di distanza, dobbiamo purtroppo ancora registrare le gesta di alcuni miserabili, in azione anche a Trento, che non perdono l’occasione per sfogare il loro odio ideologico, contestando celebrazioni, danneggiando lapidi commemorative, insultando le vittime di questa immane tragedia.
 
In tale contesto la risposta della Giunta provinciale è stata veramente sconfortante.
A fronte delle enormi risorse spese per le iniziative più singolari e discutibili (di cui proprio oggi abbiamo un significativo esempio in tema di c.d. solidarietà internazionale), la Giunta ci dice che nell’intero anno 2013 per commemorare la tragedia delle foibe sono stati spesi qualche centinaio di euro!
E nessun rappresentante della Giunta che ha partecipato ad una delle commemorazioni organizzate il 10 febbraio!
 
Una risposta che peraltro non stupisce, essendo nota la scarsa sensibilità (per usare un eufemismo) della maggioranza di centrosinistra nel confronti di questo dramma collettivo.
Per parte nostra, senza fare polemiche che ci sembrano fuori luogo, abbiamo invitato la nuova Giunta a porre rimedio in vista delle celebrazioni del prossimo anno.
Tenendo presente che il ruolo pubblico rivestito impone, anche al di là delle convinzioni personali, di porre la dovuta attenzione ad una tragedia delle proporzioni di quella delle foibe.
È questo un preciso dovere, prima ancora che giuridico (esiste pur sempre una legge da applicare) e politico, morale.
E prendendosi anche il tempo di approfondire la storia. Quella collettiva e quella delle tante singole vittime.
Partendo, magari, da quella di Norma Cossetto, studentessa ventiquattrenne, gettata nuda e ancora viva in una foiba all’alba del 5 ottobre 1943 dai partigiani comunisti di Tito, che, prima di procedere al triste rituale, in 17 abusarono di lei per giorni, incuranti dei pianti e delle invocazioni di pietà.
 
Rodolfo Borga
Civica Trentina

 La tragedia di Norma Cossetto  
Norma aveva 23 anni quando nel 1943 venne in Istria per svolgere una ricerca per la tesi di laurea, che avrebbe discusso con il chiarissimo prof. Concetto Marchesi dell’Università di Padova.
Per svolgere la ricerca nella sua terra, si spostava in bicicletta nei dintorni di Visignano frugando nelle canoniche e nei municipi.
Il 26 settembre (non molto tempo dopo il tragico 8 settembre 1943) venne prelevata da una cosiddetta «volante rossa», composta da comunisti italiani e croati, che la portarono in una ex caserma insieme ad altre persone rastrellate così a caso.
I suoi rapitori le proposero di passare dalla loro parte, ma Norma rifiutò.
Nei giorni che seguirono, la povera ragazza subì mille tormenti e, va da sé, venne violentata un po’ da tutti i suoi 16 carcerieri.
Una donna che si era avvicinata alle finestre della caserma per capire cosa stesse accadendo, ricorda di averla vista legata a un tavolo, nuda, mentre invocava il papà e la mamma. E un po’ d’acqua.
Dopo lunghissimi giorni di sofferenza, venne «processata» e sbrigativamente condannata a morte insieme a tutti gli altri prigionieri.
Vennero portati al bordo della foiba di Villa Surani. La poverina non si reggeva in piedi, ma i partigiani titini non esitarono a violentarla ancora. Non paghi, prima di gettarla nella foiba le recisero i seni e le conficcarono un legno nei genitali.
 
Non si sarebbe saputo nulla di tutto ciò, se non fosse stato che i soldati tedeschi tornarono già in ottobre '43 nel territorio che i comunisti avevano troppo facilmente pensato di aver conquistato.
Qualcuno ebbe il coraggio di dire cosa era successo e i tedeschi andarono alla foiba, profonda 136 metri. Trovarono i corpi, tra i quali c’era quello di Norma. Vennero recuperati i cadaveri.
La salma di Norma venne ricomposta e i 16 aguzzini vennero individuati dai tedeschi, che li condannarono a morte. Ma prima della fucilazione dovettero vegliare il corpo della loro vittima per tutta la notte. Tre di loro impazzirono per quella veglia forzata.
Il prof. Concetto Marchesi, che seguiva la tesi della povera Norma, chiese all’ateneo di Padova il conferimento della laurea honoris causa per la sua povera ex allieva.
Qualcuno ebbe il coraggio di obbiettare che «non era caduta per la libertà».
Il prof Marchesi, per quanto militante comunista, sostenne con veemenza le sue ragioni e il senato accademico le conferì la laurea all’unanimità.

 

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