La nostra breve intervista informale a Lech Walesa
«Quale ruolo ha giocato papa Woitila nella liberazione della Polonia?»
Alla fine della cerimonia per la
consegna dell'Aquila di San Venceslao a Lech Walesa, è stato
possibile rivolgere qualche domanda all'illustre ospite della
Provincia autonoma di Trento.
Signor Presidente, la domanda che le faccio gliel'avranno fatta
centinaia di volte. E la risposta con ogni probabilità, la
conosciamo.
Eppure, così come è sempre piacevole farsi raccontare le favole
belle anche quando le conosciamo, l'occasione di poterlo sentire
direttamente da lei, ci impone di chiederglielo.
Walesa sorride, sotto i suoi inconfondibili baffi bianchi.
Che ruolo ha giocato il Santo Padre Karol Woitila nella
rivoluzione polacca che ha portato la libertà in un Paese
direttamente controllato dall'Unione Sovietica?
«Fondamentale.» - Risponde, come sapevamo.
«In quel periodo erano di stanza in Polonia 200.000 militari russi
e il Paese ospitava parecchie basi atomiche sovietiche. Allora
tutto il mondo sapeva che l'unica possibilità per cambiare le cose
in Europa Orientale era una guerra nucleare. Quindi era fuori
discussione.
«E non era possibile neppure organizzare dimostrazioni popolari di
massa, perché i Sovietici sapevano come prevenirle. Erano in grado
di organizzare grandi controdimostrazioni di piazza, tali da farci
rinunciare a qualsiasi prova che potesse portare al confronto
diretto.
«Ed è qui che l'intervento del santo padre fu fondamentale. Ma, si
badi bene, il Papa non ha mai voluto combattere né i comunismo né
l'Unione Sovietica. Il papa non ha mai fatto politica.
«Karol Woitila ci ha portati in piazza a pregare. E così noi siamo
scesi pacificamente in piazza. E ci siamo accorti che eravamo
tantissimi, molti di più di quanti ne riuscissero a mobilitare i
sovietici.
«Quando ci rendemmo conto che eravamo più numerosi, più forti e
sorretti dalla fede, siamo scesi in piazza. Pacificamente. Abbiamo
presentato le nostre istanze senza minacciare nessuno. E i
Sovietici non osarono fare nulla per impedircelo.
«Poco a poco compresero che era finita. La Polonia non era più
sotto il loro controllo. Pian piano se ne andarono. Il resto lo
conoscete. Se ne andarono da tutta l'Europa, senza colpo ferire. Si
portarono via anche le basi nucleari.»
Dopo di allora cambio tutto, - commentiamo. Poi una
battuta. - Rimpianti?
«Rimpianti assolutamente no, - sorride. - Ma grossi problemi li
abbiamo avuti. Basti pensare che con i Russi se ne andò anche l'80
percento del nostro mercato…
«Senza l'Europa per la Polonia sarebbe stata la fine.»
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