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A 80 anni dall’8 settembre 1943. Prima parte: Mussolini

Che fine fece l'ex Duce da quando fu destituito a quando fu liberato dai tedeschi

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L'immagine di Mussolini decaduto, non più Duce degli Italiani.

Lo scorso 25 luglio avevamo pubblicato la caduta di Mussolini nell’80esimo anniversario (vedi) del voto di sfiducia del Gran Consiglio del Fascismo.
Oggi riprendiamo la narrazione in occasione di un altro 80esimo, quello dell’8 settembre, che segnò l’inizio del periodo più brutto della storia moderna d’Italia perché diede il via alla guerra civile. Una responsabilità che può essere addebitata sia al Re Vittorio Emanuele III che a Pietro Badoglio, che fu il primo Presidente del Consiglio italiano di un governo «tecnico».
Re e Badoglio si sono dimostrati del tutto incapaci a gestire un’emergenza più grande di loro, facendo precipitare l’Italia in una voragine di tragica ambiguità e di vergogna morale, politica e militare destinata a portare alla dissoluzione delle Forze armate e alla guerra civile.
Ma cominciamo ripartendo da quel famoso 25 luglio.
 
Il Gran Consiglio del Fascismo si era concluso alle ore 3.15 della mattina del 25 aprile 1943 con l’approvazione dell’Ordine del Giorno Grandi, che in buona sostanza sfiduciava il Duce e lo invitava a recarsi dal Re per rimettere il mandato nelle sue mani.
Una situazione del tutto paradossale, dato che Mussolini era un dittatore e non ricordiamo altri esempi dove un despota sia stato sfiduciato democraticamente da un organo creato da lui.
Il Ventennio fascista fu dunque una «dittatura costituzionale», approvata dal Re e permessa da una Costituzione troppo facilmente modificabile a piacere.
Mussolini, nel diario tenuto da lui dopo il 25 luglio, scrive che riteneva non vincolante il parere del Gran Consiglio. Ma al Re bastava quell’appiglio per procedere alla sua sostituzione per decreto.
 

Una rara foto di Mussolini mentre viene liberato dai tedeschi.
 
E così, quando il Duce si presentò dal Re alle 17 di quello stesso 25 aprile con il verbale della seduta che lo sfiduciava (il Re ce l’aveva già in mano), credeva che sua maestà avrebbe assunto la guida delle Forze Armate, confermando lui alla guida di un nuovo Governo.
In altre parole, a Mussolini stava benissimo passare alle mani del Re il «cerino acceso» della guerra disastrosa e, magari, continuare a governare il Paese senza l’onere della disfatta.
Possibile che il Duce pensasse davvero di cavarsela così?
Vittorio Emanuele III gli comunicò di aver accettato le sue dimissioni e di aver già incaricato per decreto Badoglio a guidare il nuovo esecutivo.
Mussolini rimase allibito, perché sapeva che Badoglio non era in grado di governare il paese. Ma da quel momento il Duce uscì di scena. Purtroppo ritornerà successivamente, ma lo vedremo più avanti.
 
I Carabinieri del Re avevano progettato bene la deposizione di Mussolini. Fu fatta preparare un’ambulanza per far uscire Mussolini da Villa Savoia in tutto segreto e senza che la sua scorta se ne accorgesse. La sua scorta rimaneva sempre fuori dalla tenuta reale.
A quel punto il Paese aveva tre enormi problemi da portare avanti. Cosa fare di Mussolini, cosa fare con Hitler, cosa fare con gli Alleati.
Cominciando dal primo, nessuno aveva pensato a cosa fare di Mussolini dopo la sua destituzione. Per questo fu semplicemente portato prima in una caserma di Carabinieri e poi in un’altra più sicura.
Badoglio gli chiese per lettera dove avrebbe preferito passare la sua vita con la famiglia e Mussolini gli indicò senza indugio la casa che aveva a Rocca delle Camminate, non lontano da Predappio.
 

La corvetta Persefone che trasportò l'ex Duce a Ponza.
 
A questo punto c’è da domandarsi se i due avevano perso la testa, perché evidentemente non si rendevano conto che il loro mondo stava per crollare. Il Duce che si ritira in campagna come Cincinnato…? Pura fantasia.
Ma rimisero i piedi in terra velocemente. La moglie Rachele fu portata veramente a Rocca delle Camminate, ai domiciliari s’intende, mentre il Duce iniziò una specie di Calvario edulcorato.
Poiché il problema era evitare che i Tedeschi lo liberassero, fu trasferito di nascosto da più parti, via mare.
Prima a Gaeta, poi all’Isola di Ventotene e successivamente all’isola Ponza, dove lo stesso Mussolini aveva confinato i suoi avversari più duri, come l’ex amico Pietro Nenni.
 
Quando ebbero il sentore che i tedeschi avessero intuito che l’ex Duce si trovava lì, fu nuovamente trasferito, stavolta all’isola della Maddalena, sempre a bordo di navi da guerra.
Quando alcuni movimenti tedeschi fecero capire che anche la Maddalena non era più sicura, fu deciso di portare Mussolini sul Gran Sasso.
Lì, scortato dai Carabinieri, fu ricoverato in un rifugio in quota sul Gran Sasso, servito dalla funivia.
Durante questo pellegrinaggio Mussolini fu trattato bene. Lui stesso si domandava cosa sarebbe stato meglio per lui.
Non voleva né essere catturato dagli alleati, né tantomeno liberato dai Tedeschi.
 

Il rifugio sul Gran Sasso, ultima prigione di Mussolini.
 
Gli avevano comunicato che il fascismo era scomparso dall’Italia in meno di 24 ore dalla sua destituzione e questo gli fece capire di aver cancellato 20 anni della sua brillante carriera.
I gerarchi più in alto chiesero - e ottennero - asilo politico presso l’ambasciata di Germania.
Quelli meno coinvolti ma con cariche istituzionali importanti vennero a miti consigli e furono risparmiati e il più delle volte confermati al loro ruolo non più da fascisti.
Si limitarono a togliersi il distintivo dall’occhiello della giacca.
Il cambio di passo più vistoso è stato quelli del «Battaglioni M», dove M stava per Mussolini, la scorta corazzata della sua Milizia personale. Quando giunsero alla trattativa con gli emissari del nuovo governo non fecero storie: cambiarono il nome in «Divisione Ariete» (c’è tuttora) e cambiarono le mostrine dal fascio alle stellette.
 
In realtà, Mussolini era solo troppo ingombrante.
Come vedremo, nelle condizioni imposte dall’armistizio. gli Alleati volevano la consegna del Duce. Condizione secondo noi inaccettabile. Un Paese non può consegnare il proprio ex leader all’ex nemico.
L’Italia doveva farsi giustizia da sola. Rispettando le regole del diritto. Con un processo.
I Tedeschi, invece, non mollarono la presa e Otto Skorzeny lo individuò con precisione.
Hitler aveva inviato alla base aerea di Pratica di Mare una divisione di paracadutisti al comando del generale Kurt Student, uno dei più brillanti comandanti tedeschi della Seconda Guerra, con il solo scopo di liberare l’ex Duce.
 

La Cicogna che trasportò il Duce dal Gran Sasso a Pratrica di Mare.
 
Quando Mussolini fu localizzato sul Gran Sasso, Student organizzò un blitz aereo sostenuto da un’operazione via terra e inviò un aliante con dei paracadutisti.
Presidiata l’area, un piccolo aereo - una Cicogna - atterrò vicino al rifugio sul Gran Sasso. Mussolini impedì ai Carabinieri di difenderlo perché sarebbe scorso inutilmente del sangue.
L’ex Duce fu caricato sull’aereo e trasportato a Pratica di Mare. Da lì fu portato a Monaco di Baviera.
Fu ospitato in un albergo di lusso insieme alla sua famiglia, in attesa di disposizioni del Führer.

Guido de Mozzi – [email protected]
 
(Continua domani)
 

Mussolini lascia il Gran Sasso in compagnia di Otto Skorzeny.

 Che fine hanno fatto  
Kurt Student era nato nel 1890, entrò nella Luftwaffe e divenne generale. Creò il corpo dei paracadutisti e compì molte operazioni con successo. La più famosa è  stata la liberazione di Mussolini.
Student, durante la battaglia di Creta, ordinò l'uccisione di più di 100 civili come rappresaglia ad attacchi e mutilazioni eseguite ai danni di paracadutisti tedeschi rimasti impigliati negli alberi durante la fase di atterraggio. Quindi alla fine della guerra fu condannato per la sua decisione da un tribunale britannico nel 1946.
Ma successivamente gli venne condonata la pena e tornò uomo libero nel 1948.
Divenuto uomo libero, morì di vecchiaia nel 1978.
 
Otto Skorzeny era nato a Vienna mel 1908. Arruolato nelle forze tedesche, passò presto alle Waffen SS.
Partecipò a parecchie battaglie, ma ciò che lo rese famoso fu l’informazione che Mussolini era sul Gran Sasso.
Alla fine della guerra, processato dagli alleati per aver usato l’uniforme inglese nei suoi servizi di spionaggio, fu assolto perché quando si trovò negli scontri a fuoco vestiva l’uniforme tedesca.
Pare che abbia aiutato criminali di guerra a scappare.
Riparato in Spagna, scrisse le sue memorie. Morì di cancro nel 1975.

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