Lettere al giornale – Daniele Gubert di Imèr
Un posto al sole per ACSM? Le mie riflessioni sul tema energia: investimenti delle società pubbliche di produzione e distribuzione
Un posto al sole per ACSM?
Nelle settimane scorse i consigli comunali dei comuni soci di ACSM Primiero S.p.A., interpellati in applicazione del «Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica», hanno dato il via libera ad un’operazione di acquisizione societaria finalizzata alla realizzazione di un campo fotovoltaico su suolo agricolo in provincia di Vercelli per una potenza di ca. 15 MW ed una quota di 2,5 milioni di Euro.
Non è che l’assaggio di una nuova politica espansionistica della società controllata dal Comune di Primiero San Martino di Castrozza, volta a rinforzarsi in previsione delle gare sulle concessioni di derivazione idroelettrica che si dovrebbero tenere a partire dal 2027 e a diversificare la produzione di energia da fonti rinnovabili in epoca di cambiamenti climatici drastici che stanno riducendo fortemente quantità e conseguente «redditività» delle precipitazioni nei bacini imbriferi dolomitici.
Si prevedono infatti ulteriori investimenti su solare e idroelettrico in altre regioni, nonché partnership con grandi player del mercato che da tempo «annusano» l’affare della scadenza delle concessioni provinciali, complici i noti «pasticciacci brutti» legislativi del fatal duo Fugatti-Tonina.
La strategia della ex «Municipalizzata» di Primiero, sorta agli inizi del ‘900 per produrre e distribuire «la luce» a famiglie ed aziende della vallata sfruttando la ripartenza del ciclo dell’acqua dalle montagne al mare, poi ingrossatasi significativamente a seguito della provincializzazione del demanio idrico e dell’acquisizione delle centrali costruite da soggetti nazionali, è oggi quella della «guerra preventiva»: attaccare, nel mare di squali che è diventato il mercato energetico, prima che la minaccia si materializzi.
Il direttore generale di ACSM è stato esplicito: «I tempi sono cambiati, se i comuni soci vogliono continuare a staccare i dividendi che sostengono la loro spesa corrente, le risorse locali non bastano più. Dobbiamo andarle a cercare fuori di qui».
Un cambio epocale di paradigma e di narrazione: da territorio virtuoso, che mette a frutto le proprie risorse naturali in modo «pulito» e «sostenibile» per restituire benessere diffuso alla popolazione, a soggetto imprenditoriale aggressivo e opportunista, teso alla ricerca di quel «posto al sole» in grado di garantire la sopravvivenza di sovrastrutture pubbliche che non siamo più in grado di mantenere.
La questione che più dovrebbe destare irritazione (ma evidentemente non lo fa, visto che nessuno sembra lamentarsi) è la provenienza del «tesoretto» che la società pubblica si appresta ad impiegare in questa «shopping spree» colonialista: gli extraprofitti dovuti all’impazzito mercato dell’energia, eterodiretto da speculatori e guerrafondai senz’anima, che stanno letteralmente succhiando il sangue di cittadini e imprese.
Il sistema è bacato: mentre lo Stato fa quello che può per calmierare le bollette, gli stessi fortunati comuni «detentori dei mezzi di produzione» che hanno «le mani legate» e non possono intervenire in soccorso dei censiti in difficoltà, investono in altri lidi per avvantaggiarsi sulla concorrenza in un gioco molto più grande di loro.
È dunque questo il nuovo ruolo degli enti pubblici locali, misurarsi in speculazioni industriali/finanziarie avulse dalla propria competenza territoriale in una guerra di accaparramento governata da logiche geopolitiche sovranazionali?
O quelle «insperate» risorse potrebbero essere investite sulle comunità di appartenenza, uscendo da rigide (e comode) logiche aziendali per abbracciare politiche sociali di sostegno alla «resistenza» ed alla «residenza» nelle sfidanti periferie delle terre alte?
Leggi estensione della rete di teleriscaldamento, incentivazione al fotovoltaico locale, alle comunità energetiche, a technology hub; leggi disambigua responsabilizzazione verso il risparmio energetico.
Le nostre piccole e remote valli trentine hanno finora resistito a politiche di conquista, omologazione e desertificazione anche grazie ad una diffusa etica/retorica protezionistica, specie attraverso la cooperazione e l’artigianato: compriamo e consumiamo sul territorio, se possibile tenendo fuori gli interessi «stranieri» ed evitando di pestare i piedi ai vicini più forti.
Siamo così sicuri che l’attacco sia la miglior difesa, che alle nostre azioni temerarie a casa degli altri non seguiranno reazioni uguali e contrarie, e che le nostre istituzioni autonomistiche siano ormai inefficaci nel difendere le ragioni di un minimale «sovranismo energetico»?
Daniele Gubert
Consigliere comunale di Imèr
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