Istat, Rapporto Annuale 2023: la situazione del Paese
In Italia si riesce a invecchiare di più, ma i giovani stentano a trovare la propria identità
Ecco quanto si legge nel Rapporto 2023 dell’Istat sulla situazione del Paese.
«L’effetto del progressivo invecchiamento della popolazione si manifesta già ora sul sistema scolastico e sul mercato del lavoro, e nel futuro sarà ancora più diffuso e accentuato.»
Anche gli indicatori del benessere dei giovani, in Italia, sono ai livelli più bassi in Europa e, nel 2022, quasi un ragazzo su due tra 18 e 34 anni ha almeno un segnale di deprivazione, 4 milioni e 870 mila persone.
Secondo l'Istat, la dimensione con maggiori difficoltà è quella di istruzione e lavoro.
Inoltre circa 1,7 milioni di giovani, quasi un quinto di chi ha tra 15 e 29 anni, non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione (i cosiddetti Neet). La quota di Neet cala fino a tornare a un livello prossimo al minimo del 2007, ma resta sopra la media Ue di oltre 7 punti e più bassa solo a quello della Romania.
Quello che colpisce è soprattutto la mancata crescita della popolazione rispetto al processo di invecchiamento. Entro i prossimi venti anni in Italia vi sarà una riduzione consistente della popolazione in età di studio e di lavoro.
Continuerà il processo di invecchiamento (nel 2023 l'età mediana, 48,3 anni, è la più elevata tra i Paesi Ue27) e la struttura per età della popolazione cambierà in gran parte già nel periodo 2021-2041, quando la fascia di età fino ai 24 anni si ridurrà di circa 2,5 milioni (-18,5 per cento) e quella tra i 25 e i 64 anni di 5,3 milioni (-16,7 per cento).
Al contrario crescerà di quasi un milione la popolazione tra i 65 e 69 anni (+27,8 per cento) e di 3,8 milioni (+36,2 per cento) quella di 70 anni e più, che nel 2041 comprenderà la generazione del baby boom.
Considerando la popolazione tra 0 e 24 anni e l'impatto sul sistema dell'istruzione, nel 2041 si prevede una riduzione minima (il 5,3 per cento) per i bambini tra 0 e 5 anni, un calo di oltre il 25% per i giovani tra 11 e 18 anni (in istruzione secondaria), e di poco inferiore al 20 per cento per le fasce d'età corrispondenti all'istruzione elementare (6-10 anni) e universitaria (19-24 anni).
«I dati Istat mettono in evidenza che fra vent'anni ci sarà una riduzione del 30% della forza lavoro – dichiara il presidente della regione Basilicata Vito Bardi. – È chiaro che lo spopolamento nella nostra regione è iniziato già vent'anni fa.
«Sono state messe in atto delle iniziative per poterlo contrarre come anche l'iniziativa del bonus gas. È un modo per far sì che la popolazione rimanga sul nostro territorio. Però chiaramente è una delle cose che si sta facendo, quindi noi dobbiamo pensare al domani.
«Dobbiamo pensare a mettere in campo delle iniziative utili per il nostro territorio, per i nostri lucani. È intenzione della Regione fare una riunione in Basilicata degli Stati generali della natalità, dove coinvolgeremo una serie di istituzioni in modo da poter capire quelle che devono essere le politiche da mettere in atto per frenare questo spopolamento e soprattutto per frenare questa contrazione della forza lavoro che inevitabilmente ci sarà nel prosieguo.
«In autunno convocheremo gli Stati generali della natalità in Basilicata – ribadisce Bardi – aperto a tutti, con i contributi delle parti sociali, di esponenti del governo e soprattutto rivolto ai giovani.»
Si conferma il problema dello spopolamento come centrale nella vita pubblica.
Tra le altre preoccupazioni evidenziate dal Rapporto Istat 2023 ci sono anche i cambiamenti climatici.
Oltre il 70 per cento della popolazione considera il cambiamento climatico o l’aumento dell’effetto serra tra le principali criticità del Paese, con una quota più marcata tra i giovani di età compresa tra 20-24 anni.
Differenze di genere nell’orientamento verso l’ambiente si rilevano rispetto all’adozione di comportamenti ecosostenibili che sono più diffusi tra le donne, sia quando si tratta di contenere gli sprechi di acqua ed energia, sia, soprattutto, nei comportamenti di acquisto.
Tali preoccupazioni sono alimentate anche dal verificarsi, con sempre maggiore frequenza e intensità, di eventi meteorologici estremi, che aumentano il rischio di calamità connesse al dissesto idrogeologico e alla siccità, con conseguenze drammatiche in vite umane e danni economici.
A tale grave problema, si associa una condizione di persistente dissesto dell’infrastruttura idrica.
Nel 2020, infatti, non arriva agli utenti finali il 42,2 per cento dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile.
Una quantità considerevole, che – stimando un consumo di 215 litri per abitante al giorno, pari a quanto erogato giornalmente nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile – sarebbe sufficiente a garantire i fabbisogni idrici di oltre 44 milioni di persone per un anno.
Nel 2020 le situazioni più critiche si sono verificate nel Centro e nel Mezzogiorno, prevalentemente nelle aree incluse nei distretti idrografici della fascia appenninica e insulare.
La siccità e i problemi di approvvigionamento di acqua hanno influito pesantemente sull’annata agricola appena trascorsa, facendo registrare, nei conti economici nazionali, una riduzione della produzione, del valore aggiunto e dell’occupazione del settore agricolo. Il calo dei volumi di produzione nel 2022 ha caratterizzato tutti i comparti produttivi, tranne quelli frutticolo e florovivaistico.
La crescita economica, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, deve tenere conto anche del depauperamento di materia che è generato dal complesso delle attività economiche.
Per questo, è necessario adottare misure di efficientamento o ancor meglio di economia circolare, finalizzate alla progressiva riduzione dello sfruttamento di risorse per unità di output.
Questo fenomeno è noto come disaccoppiamento (decoupling in inglese) e comporta la rottura di un rapporto fisso e costante nel tempo tra crescita economica e utilizzo di risorse naturali non rinnovabili.
Inoltre la pressione sull’ambiente del traffico veicolare non è determinata soltanto dalla consistenza, ma anche dalla composizione del parco circolante, e può essere mitigata da veicoli a basse emissioni, se in numero adeguato.
Contrariamente al tasso di motorizzazione, l’indice del potenziale inquinante associato ai veicoli in circolazione, che sintetizza la loro composizione per tipo di alimentazione e classe di emissioni, presenta negli ultimi anni un andamento decrescente: tra il 2015 e il 2021, è sceso da 170 a 124 in tutta Italia.
Tale dinamica positiva ha riguardato tutte le ripartizioni geografiche e si osserva anche nelle città capoluoghi di città metropolitana e di provincia.
Nelle città italiane, pertanto, le autovetture in circolazione continuano ad aumentare, ma la composizione del parco veicolare migliora sotto il profilo delle emissioni inquinanti.
La tutela e il potenziamento delle aree verdi nelle città è una delle soluzioni che aumentano la biodiversità dell’ecosistema e, più in generale, migliorano la sostenibilità e la resilienza dei sistemi urbani a potenziali avversità ambientali.
Negli ultimi 10 anni, la superficie dedicata alla forestazione urbana è aumentata progressivamente (+22,2 per cento).
L’incremento nell’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili è considerato prioritario nell’ambito del processo di transizione energetica.
Nel periodo 20112021, la quota del fotovoltaico sale dal 13,0 per cento al 21,5 per cento (+8,5) sul totale di energia prodotta da fonti rinnovabili.
Al secondo posto, l’eolico passa dall’11,9 al 18,0 per cento (+6,1) e al terzo le bioenergie (+3,3, dal 13,1 al 16,4 per cento).
Le fonti rinnovabili di tipo idroelettrico e geotermico diminuiscono invece rispettivamente di 16,2 punti percentuali (dal 55,2 al 39 per cento) e di 1,7 punti (dal 6,8 al 5,1 per cento).
La quota di energia prodotta da fonti rinnovabili sul consumo totale lordo di energia è in costante crescita nell’Ue27 a partire dal 2004: dal 9,6 per cento nel 2004 al 17,4 per cento nel 2014, fino al 21,8 per cento nel 2021, con una leggera flessione rispetto al 2020.
In quell’anno, tale quota era stata superiore al 22 per cento, raggiungendo e addirittura superando l’obiettivo fissato dalla Strategia europea 2020 del 20 per cento.
Il sistema italiano di promozione in ambito energetico e ambientale ha contribuito al raggiungimento di importanti obiettivi attraverso incentivi.
Nel periodo 2016-2021 sono stati complessivamente erogati a imprese, famiglie e altri beneficiari oltre 61 miliardi di euro per i principali strumenti di incentivazione connessi alla produzione di energia elettrica da «fonti rinnovabili e assimilate».
Negli ultimi anni, il persistere di un quadro di forte incertezza e il susseguirsi senza soluzione di continuità di crisi di carattere sanitario, economico, politico e ambientale hanno messo a dura prova il sistema produttivo italiano.
Se da un lato le imprese hanno mostrato un elevato grado di resilienza agli shock esterni, dall’altro il persistere di alcune caratteristiche strutturali ne ha ridotto il potenziale di crescita in termini di valore aggiunto, produttività e investimenti.
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