La misura della luce non è passata inosservata agli osservatori
Uno studio del laboratorio Nanoscienze del Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento pubblicato su Nature Communications
Foto ©AlessioCoser per UniTrento.
Lo studio del laboratorio Nanoscienze del Dipartimento di Fisica pubblicato su Nature Communications accende i riflettori sul comportamento dei fotoni, le particelle che compongono la luce, che si trovano nel medio infrarosso: una parte ancora poco studiata dello spettro elettromagnetico.
Un cambio di prospettiva che può tradursi in misurazioni sempre più accurate, con molteplici applicazioni future: dallo spazio ai nuovi materiali superconduttori per computer e telecomunicazioni.
Un esempio di ricerca di punta per la partita europea della «Quantum Technologies Flagship» su cui scommettono le istituzioni di ricerca del Trentino-
Rilevare molecole di gas, effettuare monitoraggi ambientali accurati, stabilire comunicazioni satellitari efficienti nello spazio, dare vita a nuovi tipi di semiconduttori, indispensabili per tutti i principali dispositivi elettronici e microelettronici di nuova generazione: tutte queste attività hanno in comune lo studio dei fotoni.
Settori in grande espansione scientifica e tecnologica che ruotano attorno a computer, sensori e metodi di comunicazione sicura del futuro e che nei prossimi anni saranno oggetto di un forte investimento di ricerca e trasferimento tecnologico (oltre un miliardo di euro) da parte dell’Unione Europea nell’ambito della nuova «Quantum Technologies Flagship».
Anche Trento vuole avere un ruolo di rilievo in questa competizione scientifica internazionale e presentarsi come nodo di riferimento per le scienze e le tecnologie quantistiche.
E per farlo ha messo in rete i suoi migliori talenti tra UniTrento, Fondazione Bruno Kessler e CNR nel progetto Q@TN (Quantum at Trento).
Per progettare strumentazioni sempre più precise, occorre investire in misurazioni sofisticate che siano capaci di misurare le proprietà dei singoli fotoni. Questa è una sfida aperta per la fisica quantistica perché il segnale prodotto da particelle isolate è bassissimo.
Lo è, in particolare, per quanto riguarda singoli fotoni con un colore nel medio infrarosso. Il medio infrarosso è una porzione della più ampia radiazione infrarossa, quella radiazione elettromagnetica con banda di frequenza dello spettro inferiore alla luce visibile ma superiore alle onde radio.
A causa del rumore a cui sono soggetti i rilevatori standard, non è possibile il loro utilizzo in misurazioni in cui è richiesta questa estrema sensibilità. Eppure lo studio dei fotoni che si trovano in questa parte specifica dello spettro infrarosso è la chiave per sviluppare applicazioni interessanti in numerosi ambiti di innovazione tecnologica: dallo spazio allo sviluppo di nuove sorgenti di fotoni per la crittografia quantistica, dallo studio dell’assorbimento di molecole gassose alla medicina.
L’unica soluzione finora ipotizzata per indagare questa porzione dello spettro è stata quella di impiegare anche nel medio infrarosso sensori ottici realizzati con materiali superconduttori, che però devono essere mantenuti a temperature estremamente basse per poter funzionare.
Ma cosa succede se invece si modifica il colore della luce, in modo da renderlo visibile e quindi misurabile con un sensore ottico di quelli che si trovano nei nostri telefonini?
Quest’idea, detta «traslazione spettrale», è stata dimostrata in uno studio made in Trento, pubblicato nei giorni scorsi sulla prestigiosa rivista Nature Communication. Mattia Mancinelli, Alessandro Trenti e i loro colleghi del Laboratorio di Nanoscienza del Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento hanno messo a punto uno speciale traslatore spettrale ad alta efficienza che, abbinato ad un sensore ottico, ha permesso per la prima volta di contare i singoli fotoni nel medio infrarosso uno ad uno.
Di più, sono state fatte anche misure di coppie di fotoni intrecciati, sempre nel medio infrarosso. Fotoni intrecciati a coppie sono prodotti da sorgenti di luce quantistica. In queste, infatti, i fotoni sono emessi intimamente correlati (o entangled, per usare un termine tecnico): osservare questa caratteristica è proprio ciò che permette di sfruttare le loro proprietà per applicazioni delle tecnologie quantistiche nella regione spettrale dove sono presenti le impronte digitali delle varie molecole o dove l’atmosfera è particolarmente trasparente per lasciar passare inalterati i fotoni.
Il sensore di singoli fotoni dimostrato a Trento, ha alcune caratteristiche che lo rendono adatto a futuri impieghi in ambito industriale: il funzionamento a temperatura ambiente, la facilità di interfacciarsi con la fibra ottica e l’integrazione in un chip di silicio.
«La nostra attenzione come ricercatori è concentrata sull’indagine delle proprietà di fotoni entangled nel medio-infrarosso che finora non erano accessibili, – commenta Alessandro Trenti. – Ma le applicazioni del sistema che abbiamo sviluppato sono senz’altro interessanti per il settore industriale.
«Il nostro obiettivo è quello di superare i limiti dei sistemi classici di misurazione, per sviluppare approcci innovativi nell’ambito delle tecnologie quantistiche.»
Il lavoro di ricerca è stato possibile grazie ad una proficua collaborazione tra il laboratorio di Nanoscienze dell’Università di Trento e DTU (Technical University of Denmark). A questo lavoro, ha contribuito anche Sara Piccione, dottoranda di fisica al primo anno, che proprio per questa invenzione ha vinto un premio del Rotary Club.
La pubblicazione dell’articolo su Nature Communication è un traguardo ulteriore per Alessandro Trenti che va ad aggiungersi al riconoscimento ottenuto lo scorso anno con il prestigioso Best student paper award alla conferenza internazionale «SPIE Photonics Europe, Nonlinear optics and its applications che si è tenuta a Bruxelles agli inizi di aprile 2016.
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