È morto Gino Strada, il medico che aveva milioni di pazienti
E se ne è andato quando la Guerra dell’Afghanistan si è dimostrata un fallimento
Gino Strada aveva sempre sostenuto che abolire la guerra è l'unica speranza per l'umanità.
Concetto più che condivisibile, dato che tutte le guerre avvenute dopo la Seconda Guerra Mondiale non hanno avuto alcun motivo di esistere.
Gino Strada era contrario anche alle missioni militari italiane all'estero. Su questo non siamo d'accordo in tutto, dato che - ad esempio - la nostra missione in Libano è fondamentale per consolidare la pace tra Israele e il Libano.
Di certo però, noi non abbiamo mai approvato l'intervento NATO in Afghanistan. Venti lunghissimi anni di guerra per non ottenere alcun risultato apprezzabile.
Pochi uomini come lui hanno fatto tanto per aiutare chi soffre, chi soffre fisicamente.
Ha costruito ospedali in tutti i teatri di guerra e, visto cosa sta succedendo in Afghanistan, forse è bene ricordare che in quel Paese quello di Gino Strada rappresentava l’unico sistema sanitario esistente (parole sue).
A Herat le Forze armate italiane avevano una struttura sanitaria importante, o quantomeno adatta al primo soccorso e in grado comunque di effettuare interventi salva vita.
I nostri sanitari con le stellette non hanno mai detto di no ai civili che chiedevano aiuto. Anzi, spesso organizzavano missioni sanitarie nei villaggi del territorio.
Il nostro giornale aveva partecipato a una di queste missioni, dove medici e paramedici militari venivano accompagnati a fare il giro dei loro... pazienti.
Non erano missioni facili neanche queste, perché gli abitanti si dividevano tra favorevoli e contrari. Gli anziani volevano i nostri medici proprio perché bisognosi di cure, come tutti i vecchi. Anche di sole medicine.
Crediamo che un cittadino europeo non riesca a immaginare che possano esistere dei centri abitati dove non si sa cosa siano le farmacie. E invece questa è la vita normale in Afghanistan.
I contrari all'aiuto sanitario delle nostre forze armate erano i giovani, mediamente non bisognosi di cure. E che comunque non riuscivano ad accettare che lo staff medico indossasse la tuta mimetica.
D’altronde, ricordo che le forze di fuoco messe in campo per sostenere missioni sanitarie erano impressionanti. Nella foto che segue vediamo i tre Lince a supporto di una unità sanitaria.
Se la gente civile si rivolgeva con diffidenza al sistema sanitario militare, si può immaginare che fine dovevano fare i miliziani feriti negli scontri a fuoco.
Il più delle volte una ferita poteva significare la morte. Eppure, in un combattimento l’obiettivo non è uccidere, ma - come si dice in gergo militare - «neutralizzare la minaccia».
In altre parole, neutralizzata la minaccia si devono soccorrere i feriti. Tutti.
I Talebani preferivano scappare piuttosto che essere fatti prigionieri. Non temevano i nostri soldati ma i governativi che noi sostenevamo.
Ed è lì che Gino Strada lavorava a pieno ritmo.
Per i governativi questa situazione, dove personale sanitario civile italiano curava guerriglieri feriti da soldati italiani, era un’incongruenza. E più di una volta hanno chiesto alle nostre autorità militari di intervenire - anche con azioni di forza - per impedire questo sistema.
Inutile dire che più in là che esprimere ufficialmente la propria «preoccupazione», non è mai stato fatto nulla per contrastare l’aiuto sanitario di chicchessia.
Questo lo raccontiamo oggi che è morto Gino Strada, proprio per precisare che in Afghanistan non siamo mai stati antagonisti. Mai.
Gli italiani non sempre sono brava gente. Ma in questo caso sì.
Di certo, invece, ora si dovrebbe fare fronte comune per costruire in quel Paese un sistema sanitario degno di questo nome. Varrebbe più di mille vittorie militari.
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