Le sabbie mobili della crisi libica/ 1 – Di Marco Di Liddo
Prima parte – Le difficoltà del negoziato tra Tripoli e Tobruck
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Premessa
Ad oltre un anno di distanza dall’inizio di Operazione Dignità, la Libia continua a vessare in uno stato di profonda anarchia politica e di preoccupante disintegrazione sociale.
Infatti, la contrapposizione tra il fronte laico, formato dal Parlamento di Tobruk e dalle forze di Operazione Dignità, e il fronte islamista, composto dal Parlamento di Tripoli e dalle milizie di Alba Libica, non accenna assolutamente a calmierarsi, nonostante i tentativi di mediazione delle Nazioni Unite e la volontà, da parte dei reciproci gruppi moderati, di provare a costruire una piattaforma di dialogo politico.
Sfortunatamente, Tripoli e Tobruk appaiono in balia delle reciproche ali massimaliste e soprattutto delle milizie tribali, reali detentrici della forza armata e del controllo del territorio.
Il congiunto e reciproco desiderio di neutralizzare l’avversario, unito al tradizionale e feroce localismo che caratterizza la società libica, rappresentano gli ostacoli principali alla formazione di quel tanto agognato Governo di Unità Nazionale che rappresenterebbe la prima ed embrionale forma di Stato legittimo da quale far ripartire la ricostruzione nazionale.
Inoltre, soltanto un esecutivo inclusivo e condiviso permetterebbe alla Comunità Internazionale di avere un interlocutore unico e legittimato a richiedere maggiori misure di sostegno esterno, sia a livello umanitario che di impiego della forza armata.
In uno scenario così frammentato e atomizzato, i gruppi salafiti e jihadisti si sono ritagliati uno spazio politico importante, aumentando la propria influenza e il proprio sostegno popolare attraverso la combinazione di forza bruta, assistenza sociale e tagliente propaganda.
Il segnale più evidentedell’espansione del network jihadista è offerto dalla crescita del sedicente Statoislamico (o Califfato di Bayda) che, in poco più di un anno, è passato da essere un piccolo gruppo di combattenti rientrati in patria dai fronte siro-iracheno ad una realtà in grado di controllare Sirte e Derna, puntando anche a Bengasi e oltre.
Quello che più spaventa del Califfato è la sua estrema capacità di cooptare le esigenze e le agende dei gruppi più diversi e porli sotto l’ombrello del jihadismo.
Una simile flessibilità operativa potrebbe essere la chiave per una espansione incontrollata del Califfato in Libia, soprattutto in un contesto dove la popolazione, dopo anni di conflitto, appare desiderosa di ordine e normalizzazione, anche a costo di essere parte dello Stato Islamico.
Le difficoltà del negoziato tra Tripoli e Tobruk
Sin dal suo inizio, il negoziato tra il Parlamento islamista di Tripoli, guidato da Nouri Abusahmain e formalmente conosciuto come Congresso Generale Nazionale (CGN), e quello laico di Tobruk, riconosciuto internazionalmente, noto come Camera dei Rappresentanti (CR) e presieduto da Aguila Saleh Issa, è stato particolarmente ostico, nonostante il grande impegno profuso dalle Nazioni Unite nella persona dell’Inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite, il diplomatico spagnolo Bernardino Leon.
In questo senso, i primi incoraggianti segnali in direzione di un esito positivo per la trattativa erano emersi lo scorso 11 luglio, quando il Palazzo di Vetro era riuscito a far sottoscrivere ai due parlamenti in lotta gli «Accordi di Skhritat», dal nome della città marocchina che ha ospitato l’incontro tra le delegazioni.
Nello specifico, il documento in questione prevedeva sia la formazione di una autorità di transizione, il cosiddetto Governo di Unità Nazionale(GUN), che riunisse i due parlamenti rivali, sia la ristrutturazione delle istituzioni libiche.
In tal senso, i principali organi politici avrebbero dovuto essere un Consiglio di Presidenza, responsabile del potere esecutivo e della guida del governo, una Camera dei Rappresentanti, depositaria del potere legislativo, ed un Consiglio di Stato, con poteri di controllo e consultazione.
Il Consiglio di Presidenza, composto da un Premier, da due Vice-Premier e da due Ministri, avrebbe dovuto deliberare soltanto all’unanimità, porsi al comando delle Forze Armate ed essere responsabile della politica estera e di sicurezza del Paese.
La nuova Camera dei Rappresentanti avrebbe dovuto ereditare la composizione e la struttura dell’attuale CR, rimanere l’organo legislativo nazionale e avere potere di consultazione sui decreti in materia di difesa, politica estera e sicurezza.
Infine, il Consiglio di Stato, organo composto da 120 membri (90 del CGN e 30 indipendenti) nominati dai principali leader libici secondo modalità non ancora adeguatamente precisate, avrebbe dovuto coadiuvare la Camera dei rappresentanti in materie tecniche (difesa, sicurezza, economia) ed esprimere pareri orientativi sull’attività di legiferazione.
In sintesi, secondo gli Accordi di Shritat, il Parlamento di Tobruk sarebbe confluito nella nuova Camera dei Rappresentanti, quello di Tripoli sarebbe diventato il Consiglio di Stato e il Consiglio di Presidenza avrebbe incluso i vertici di entrambi.
Il Governo di Unità Nazionale, una volta ottenuta la fiducia della Camera dei Rappresentanti, avrebbe avuto un mandato annuale, prolungabile per altri 12 mesi.
Tuttavia, dopo luglio e la ratifica degli accordi in questione, il negoziato si è arenato, annaspando tra incontri e trattative poco produttive dovute sia all’assertività delle parti, sempre meno inclini a reciproche concessioni, sia ad una sorta di «ansia da prestazione» delle Nazioni Unite, talvolta schiacciate dalla necessità di chiudere un accordo nel minor tempo possibile e a qualunque costo.
Particolarmente indicativa di queste problematiche è stata la proposta di Leon di annunciare sia la formazione del GUN sia la nomina di Fayez el-Sarraj a Primo Ministro edi Ahmad Meitig, Fathi el-Mejbri e Moussa el-Koni quali Vice-Primi Ministri.
Tale decisione, avvenuta lo scorso 9 ottobre, è apparsa piuttosto prematura e precipitosa. Infatti, benché l’Inviato Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite avesse sottolineato la presenza di oltre 150 delegati da tutto il Paese, sia Tripoli che Tobruk hanno espresso evidenti perplessità.
Il CGN ha apertamente dichiarato di non aver contribuito in alcun modo al round negoziale, denunciando immediatamente la proposta di Leon, mentre all’interno del CR si sono levate voci di profondo dissenso.
In sintesi, nonostante le dichiarazioni formali, sussiste il rischio concreto che anche questo turno di trattative non abbia prodotto effetti concreti e che i due parlamenti continueranno a rivaleggiare.
Pertanto la Comunità internazionale potrebbe trovarsi con un documento valido legalmente, ma privo di qualsiasi reale efficacia e legittimità.
Inoltre, occorre interrogarsi sulle motivazioni che hanno spinto Leon ad accelerare i tempi per la formazione del GUN in un momento evidentemente precoce. Probabilmente, con l’approssimarsi della scadenza del proprio mandato, prevista per il 20 ottobre, il delegato ONU ha tentato una manovra politica che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto consegnare al suo successore una migliore base di lavoro per il futuro e che, in definitiva, avesse potuto dare un senso alla sua esperienza di mediatore in Libia.
Infine, non bisogna sottovalutare la necessità, da parte della Comunità internazionale, di interloquire con un organo politico libico che, almeno sulla carta, apparisse quanto più legittimo e rappresentativo possibile. Questo in previsione di eventuali iniziative di stabilizzazione più efficaci, alcune delle quali comprendenti l’eventuale uso del la forza armata.
Dunque, dopo il fallimento dei meeting di settembre, anche l’iniziativa negoziale di ottobre rischia di risolversi in un nulla di fatto. Indubbiamente, il rischio maggiore è quello di trovarsi di fronte ad un GUN monco e addirittura ancor più debole dell’attuale governo di Tobruk.
Come se non bastasse, quest’ultimo ha attirato su se stesso il biasimo delle Nazioni Unite dopo aver prolungato sine die il proprio mandato oltre la scadenza naturale del 20 ottobre.
Sebbene la ragione di tale decisione sia stata dettata dalle difficoltà logistiche dell’organizzazione delle elezioni e dal bisogno di evitare un possibile vuoto di potere in un momento di estrema instabilità per il Paese, non si possono sottovalutare le possibili ripercussioni negative nella prosecuzione del negoziato.
L’iniziativa, infatti, presenta almeno due vulnerabilità.
La prima è di natura protocollare e riguarda la modalità del voto sul prolungamento del mandato, avvenuto con appena 1/3 dei parlamentari e, dunque, da ritenersi non valido.
La seconda, di natura prettamente politica, concerne l’unilateralità della decisione di Tobruk, che ha esteso nel tempo i propri poteri senza alcuna consultazione con Tripoli.
In ogni caso, sull’esito del negoziato e sulla possibilità concreta di trovare un’intesa pesano sia la mancanza di unità d’intenti all’interno dei due parlamenti, percorsi da gravi tensioni tra le fazioni favorevoli e contrarie all’accordo nonché ostaggi delle rispettive ali massimaliste, sia la mancata partecipazione ai lavori di una rappresentanza nutrita e quanto più estesa possibile dei gruppi tribali e delle milizie, entrambi veri detentori del potere sul territorio.
In particolare, non è un mistero che alcuni movimenti politici a Tripoli e Torbuk non intendono scendere a compromessi, sognano di imporre la propria autorità su tutto il Paese e bramano di liquidare gli avversari.
Naturalmente, a sostenere le ali massimaliste sono, per diverse ragioni, proprio le milizie ed i loro i comandanti.
Tale radicalismo deriva da diversi fattori
Innanzitutto, i gruppi armati, in quanto formati da combattenti, sono psicologicamente meno inclini al negoziato e meno avvezzi alle sottigliezze del compromesso politico.
In secondo luogo, dopo mesi di guerra civile, le milizie non vogliono perdere il controllo del territorio e il potere che hanno acquisito all’indomani della destituzione di Gheddafi.
Allo stesso modo, i signori della guerra temono che il compromesso tra Tripoli e Tobrouk ridimensioni il proprio ruolo e i propri privilegi.
Infine, non bisogna mai dimenticare l’importanza della struttura sociale ed antropologica della Libia, Paese da sempre dominato da un feroce localismo e dalla rivalità tra tribù e clan.
Se durante il regime gheddafiano un certo equilibrio si era mantenuto attraverso un insieme di repressione e distribuzione mirata dei privilegi, con la morte del Colonnello quel sistema è scomparso.
Dunque, ad oggi, il conflitto libico può anche essere interpretato come lo scontro tra forze che sostengono un radicale cambiamento degli equilibri interni e forze che, al contrario, intendono restaurare gli antichi privilegi.
Ai problemi del dialogo tra i due parlamenti e alla loro scarsa rappresentatività popolare si aggiunge l’incognita costituita dalla successione a Bernardino Leon.
Infatti, dopo un anno di intenso e certosino lavoro diplomatico, caratterizzato da alti e bassi, Leon era comunque riuscito ad aprire un embrionale canale di trattativa tra Tripoli e Tobruk ed era diventato un discreto conoscitore delle dinamiche libiche.
Al contrario, colui che appare il suo erede designato, il diplomatico tedesco Martin Kobler, personalità con una sedimentata esperienza in Congo ed Iraq, ma privo al momento di una specifica esperienza in materia di questioni nordafricane, potrebbe necessitare di tempo per approfondire la conoscenza della complessa realtà libica.
Inoltre, desta qualche perplessità il fatto che sia un rappresentante del Nord Europa ad occuparsi di una questione squisitamente mediterranea.
Infine, occorre valutare se Kobler deciderà di proseguire la linea diplomatica tracciata da Leon o promuovere un approccio differente.
In ogni caso, in questo momento, la priorità politica del Palazzo di Vetro appare quella di isolare le fazioni estremiste e contrarie al negoziato presenti in entrambi i parlamenti e promuovere una convergenza «centrista» dei gruppi più moderati.
Infatti, soltanto in questo modo sarebbe possibile giungere ad un accordo condiviso e di ampio respiro, consentire la formazione di Governo di Unità Nazionale autentico e rendere le sue attività future quanto più semplici e veloci possibili.
Marco Di Liddo
(Ce.S.I.)
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