Per saperne di più sulla crisi libica/ 3 – Di Antonio de Felice
La minaccia terroristica (per il momento altamente improbabile)
Interessante la valutazione dei
rischi legati al terrorismo, in quanto precedenti come l'Iraq (e
altro) hanno messo in luce quella capacità di controllo che le
dittature esercitano anche sui gruppi terroristici.
A quanto pare, tuttavia, queste recenti rivoluzioni nordafricane e
arabe ricordano più una reale ricerca di libertà politica che una
sollevazione di carattere integralista islamico.
1- SITUAZIONE PRESENTE
L'evolversi recente della situazione libica, con l'attuale
conflitto armato e la prospettiva di un lungo periodo di
instabilità interna, con relativo vuoto di potere, riaccende la
preoccupazione per eventuali minacce terroristiche da collegarsi
più generalmente alla situazione di sicurezza della vasta regione
sahariana come della contigua fascia del Sahel.
I Paesi dell'area, da tempo interessati dalla crescita di fenomeni
islamico-integralisti armati, soffrono notoriamente di una
insufficienza di mezzi e di conoscenze, come di una carenza di
strumenti di cooperazione internazionale in grado di fronteggiare
l'attività dei locali gruppi terroristici.
L'organizzazione jihadista storicamente attiva sul territorio della
Libia, il «Gruppo Islamico Combattente Libico - GICL», è stata
fondata da militanti rientrati in patria dall'Afghanistan dopo una
esperienza combattente in quel Paese.
Principalmente composto da militanti originari della Cirenaica, il
gruppo si è dimostrato principalmente attivo nella zona delle
cosiddette «Montagne Verdi», unico rilievo montano significativo
della regione in grado di ospitarne l'attività combattente.
Inserito a pieno titolo in Al-Qaida, organizzazione nella quale i
dirigenti libici finiranno per assumere ruoli di assoluto rilievo,
il GICL ha subito all'inizio dello scorso decennio in Libia una
sconfitta definitiva per mano delle sezioni speciali
anti-terrorismo del regime con la carcerazione di un migliaio di
suoi militanti.
A seguito della trattativa intavolata a partire dal 2006 dal figlio
del Rais, Saif al-Islam, la quasi totalità di questi è stata
liberata nel corso degli scorsi anni (tra cui gli ultimi il 16
febbraio scorso, alla vigilia del primo corteo di protesta) in
cambio alla rinuncia all'azione violenta.
Gran parte di questi militanti liberati non ha ripreso l'attività
combattente clandestina assecondando tale evoluzione politica con
la creazione dell'attuale «Gruppo Islamico Libico per il
Cambiamento - GILC», movimento di recente conio che appoggia oggi
il fronte degli insorti contro Gheddafi.
Importante rimarcare come, a differenza di quanto accaduto nel
vicino Egitto, dove il reticolo di associazioni caritative animato
dalla confraternita dei Fratelli Musulmani ha avuto modo
di operare a lungo e in profondità nelle realtà sociali di un paese
poverissimo, influenzandone la sensibilità religiosa e gli
orientamenti politici, l'azione del GICL si è svolta principalmente
fuori dal Paese, senza quindi permeare in modo duraturo la società
civile libica.
Non risultano presenti nell'attuale «Consiglio Nazionale di
Transizione» insediatosi a Bengasi (e più generalmente all'interno
dello schieramento degli insorti) gruppi organizzati su posizioni
integraliste e/o comunque di sensibilità islamista, anche se, come
riportato sopra, parte dei militanti del citato «Gruppo Islamico
Libico per il Cambiamento - GILC», dichiarano di appoggiare oggi le
rivendicazioni degli insorti in chiave democratica.
Importante rammentare come, per via dell'assoluta assenza nel Paese
di strutture partitiche o semplicemente organizzate, la protesta
sfociata negli attuali moti insurrezionali in Cirenaica sia partita
spontaneamente dalla società civile su problematiche di diritti
umani e abbia assunto fin da subito la forma di una contestazione
del regime in chiave liberal-democratica e filo-occidentale, tutti
assunti fortemente antitetici alla predicazione
islamico-integralista.
2- POSSIBILI SVILUPPI
Per via dell'attuale situazione bellica permangono forti incognite
sugli sviluppi futuri, in particolar modo nel caso di un protrarsi
dei disordini eventualmente conseguenti a una partizione di fatto
del Paese tra Tripolitania e Cirenaica.
Il lunghissimo confine tra Libia e Algeria, di arduo controllo e
monitoraggio, rappresenta uno dei principali punti di criticità
dell'area, in grado di costituire una possibile fonte di
contaminazione dall'esterno del Paese.
Nella fascia sahariana risulta infatti attivo da tempo il gruppo
denominato «Al-Qaeda nel Maghreb Islamico», già «Gruppo Salafita
per la Predicazione e il Combattimento» (GSPC) di Abdelmalek
DRUKDAL.
Il gruppo dispone ancora di mezzi di mobilità, di disponibilità
economiche derivanti dai precedenti sequestri di persona
effettuati, di una buona conoscenza del terreno impervio e di
notevoli complicità locali, anche istituzionali.
Da sottolineare poi la fuga di un certo numero di islamisti dai
carceri di Tunisia, Libia e Mali, suscettibili di operare in Libia
qualora le nuove condizioni politiche (presenza di un regime
filo-occidentale in Cirenaica) lo consentissero.
Va ritenuto invece altamente improbabile nell'attuale fase
la messa in opera di eventuali progetti terroristici all'estero da
parte delle istituzioni libiche vigenti.
Rimangono da considerare possibili azioni spontaneiste a supporto
dell'attuale regime, come prospettato da recenti informative dei
Servizi di Sicurezza occidentali.
La scarsa entità delle comunità libiche presenti in Europa
tenderebbe ad inficiare tale ipotesi che evidenzierebbe comunque,
per sua stessa natura, deboli prospettive.
Consideriamo che minacce terroristiche concrete sono da prendersi
in esame solo in caso di occupazione duratura del Paese da parte di
truppe occidentali (secondo l'esempio iracheno).
La probabilità di una «somatizzazione» della Libia su base tribale,
conseguente a una completa e duratura deliquescenza istituzionale,
è da ipotizzarsi solo nell'evenienza di una interruzione definitiva
dei proventi petroliferi.
AdF
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