Un viaggio in Arabia Saudita/ 2 – Di Luciana Grillo
Madinah, una città grande, anonima, strade piazze alberghi… con la grande Moschea Al Masjid an Nabawi (vietata ai miscredenti)
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King Abdullah, città industriale definita ufficialmente Economic City, è stato solo un porto dove abbiamo attraccato per partire alla volta di Madinah, la seconda città santa dell’Islam al mondo, dopo la Mecca.
Il viaggio in pullman è stato molto lungo (e anche un po’ noioso). Abbiamo percorso chilometri e chilometri di deserto ora sabbioso, ora roccioso, senza poter mai scendere, neanche per problemi idraulici. Per fortuna il bus era dotato di wc...!
Le accompagnatrici locali, giovani e silenziose, hanno distribuito a tutte noi donne l’abaya* e il velo per la testa, tutto nero, benché, seguendo le indicazioni della MSC, avessimo gambe e braccia coperte.
Alla domanda sull’obbligo di indossare l’abito lungo nero, la guida ha risposto: «Nessun obbligo. Anche le nostre donne possono scegliere qualsiasi colore».
Peccato che tutte le donne che incontriamo siano in nero.
Dunque, un gruppo di donne in nero è sceso sperando che accanto alla prima Moschea ci fossero delle toilette. C’erano, ma chiuse.
Chiusa anche la Moschea, per noi non musulmani. Abbiamo ascoltato la guida locale (tradotta dall’inglese dal nostro accompagnatore, il bravissimo Andrea Vezzoli) raccontare con grande enfasi la storia della battaglia del monte Ohud, dove Maometto e i suoi ebbero la meglio sulle truppe della Mecca.
Altri chilometri, altri racconti un po’ enfatici e fantasiosi della guida, e finalmente arriviamo a Madinah, una città grande, piuttosto anonima, strade piazze alberghi… fin quando non ci si avvicina alla grande Moschea Al Masjid an Nabawi: preceduta da strade affollate, su cui si affacciano imponenti alberghi che ospitano le folle di pellegrini, ci sorprende con i suoi dieci minareti, con una lunga recinzione che la circonda e si apre in grandi cancelli – che noi non possiamo varcare – sorvegliati da uomini in divisa.
La guida, dopo averne decantato la maestosità e l’ampiezza (può contenere fino a 1.000.000 di persone e comprende biblioteche, ambienti comuni, aule per convegni e sale per preghiere), ci indica la cupola verde posta a nord est: indica il luogo dove è sepolto Maometto.
La Moschea è aperta ventiquattro ore su ventiquattro, circondata anche da spazi verdi, uno dei quali è il Nobile Giardino.
Se si prega in questo luogo, le preghiere saranno esaudite. Qualcuno di noi avrebbe qualche preghiera da fare…
La guida – che in bus ci ha fatto sentire anche un canto dedicato a Maometto, coinvolgendo anche una delle accompagnatrici, – ci promette qualche minuto per lo shopping e garantisce che sarà tutto «made in Saudi», ma dimentica che nell’ora della preghiera tutte le serrande vengono abbassate.
Niente acquisti, i poliziotti ci guardano male e ci invitano ad allontanarci, dopo aver controllato abbastanza discretamente che non fotografassimo le donne.
Ci attende un buon pranzo a buffet (riso, verdure varie, pollo e agnello, gamberi, dolci colorati e mielosi) in un hotel che ci accoglie in spazi fastosi.
Se qualcuno vuole andarci, si chiama Al Muna Kareem ed è a tre passi dall’ingresso della Moschea.
Il personale è gentile, il caffè saudita è pessimo.
Dopo pranzo, visita al Museo privato Dar Al Madinah che espone oggetti datati di uso comune, pezzi di arredo, argenti e qualche plastico della Moschea, dei colli circostanti, dei luoghi delle battaglie.
Sembra un Museo Didattico, il personale è numeroso e gentile, ci forniscono soprascarpe di plastica azzurra e prima che andiamo via ci offrono i loro ottimi datteri.
Ultima tappa è la Moschea di Quba, la più antica del mondo.
La guida ci dice che fu Maometto a posare la prima pietra durante il suo primo viaggio dalla Mecca a Madinah.
Mi sembra un luogo tranquillo per famiglie: i bambini giocano e si rincorrono nel piazzale antistante, il piccolo complesso di negozietti offre qualcosa da mangiare, creme e spezie.
Ci sono anche capi di abbigliamento per uomo e donna. Per noi, improponibili.
Non si accetta moneta straniera, ma si può pagare con carta di credito.
Compro una crema allo zafferano per il corpo. Diventerò tutta gialla? O anche un po’ rossa come gli stimmi?
Quasi quattro ore di viaggio, dormiamo un po’ approfittando del silenzio della guida, torniamo al porto e la nostra nave ci accoglie calorosamente: controlli della temperatura e dei passaporti e poi, finalmente, in cabina per una doccia ristoratrice.
Undici ore di escursione, ma ne è valsa la pena.
Che cosa ricorderò di questo viaggio nel cuore dell’islam? Forse quel «senso del dovere» che spinge tanti ad andare a pregare davanti ai cancelli, a inginocchiarsi sui tappeti che portano da casa, arrotolati sotto il braccio, o più probabilmente le tante bambine che sono ancora libere di vestire con colori vivaci, di scalciare se i papà le rincorrono e le afferrano, di gridare se non vogliono smettere di giocare.
Una davanti a me guarda suo padre con aria di sfida e pesta i piedi a terra.
Avrei voluto dirle: Continua così! Non diventare uno strumento nelle mani di un uomo, non coprirti perché solo uno possa vederti, sorridi alla vita, conquista i tuoi spazi e la tua autonomia.
E se invece fosse felice così, come sua madre?
Ma chi può dire se sua madre è felice?
*L'abaya è un indumento femminile utilizzato in alcuni paesi musulmani, essenzialmente del Golfo Persico. Esso ha funzione di hijab in molti Paesi della Penisola arabica. Si tratta di un lungo camice nero, di tessuto leggero, che copre tutto il corpo eccetto la testa, i piedi e le mani. |
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