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Il mio Madagascar/ 1 – Di Luciana Grillo

Il contrasto di un ambiente naturale stupendo e di una povertà davvero sconvolgente

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Il Madagascar è una grande isola dell’oceano indiano che offre panorami mozzafiato, natura vigorosa, colori vivaci, spiagge selvagge, mare limpido… Un vero paradiso per i turisti che qui trovano la possibilità di riposare, di disintossicarsi dallo stress, di incontrare animali rari come i lemuri o di assistere al pranzo delle tartarughe.
Se però girano fra i villaggi o guardano con attenzione le case, le strade, i bambini, certamente rimangono colpiti dalla povertà che stupisce e sconvolge: le case sono povere baracche di lamiera, così anguste che vi si può solo dormire – genitori e bimbi piccoli in un letto, bambini più grandi a terra – mentre si mangia fuori, sotto una improbabile tettoia.
I servizi igienici? Un’ipotesi. L’acqua? Si può comprare, oppure si usa quella di canali.
Quanto alle strade, ad eccezione di quelle che conducono a lussuosi resort, manifestano il ricordo lontano di un’asfaltatura… Buche e voragini ad ogni passo.
 
I bambini, tanti, sono straordinari: belli, educati, vestiti di niente e quasi sempre scalzi, ringraziano se offri un frutto o una caramella, sorridono; alcuni ti mostrano piccoli oggetti da comprare, altri agitano una canna su cui è adagiato un camaleonte (ce ne sono di tutti i colori, dal verde smeraldo al turchese all’arancione) e ti propongono una foto.
La mia prima tappa è stata Nosy Be, una località anche turistica che in malgascio significa «la grande isola».
Sono in un gruppo di dieci persone, accompagnate da una guida sorridente, giovane, che si chiama Coretta e che parla un discreto italiano, imparato da sola, leggendo i giornali che i turisti lasciano negli alberghi quando vanno via.
 

 
Il clima è afoso, umido; andiamo a visitare un bel parco dove si trova l’ylang ylang, uno splendido fiore da cui si estrae l’essenza di un famoso profumo.
Ci sono alberi, fiori, zanzare e tanti animali, in un ambiente spazioso e pulito: qui vivono i lemuri, una specie di scimmie fulve o bianche o a righe bianco-nere, con lunga coda. Uno porta in groppa un cuccioletto, si avvicina a noi e mangia avidamente una piccola banana che gli offre la guida.
Ma ci sono anche coccodrilli, camaleonti e tartarughe di varie misure: alcune, molto grosse, si muovono lentamente, hanno le zampe infangate; altre, più piccole, si sistemano in circolo, davanti ad una grande foglia verde su cui sono ammucchiate foglioline e germogli. Mi sembrano compite fanciulle.
 
Altro momento interessante è la sosta presso una zona sacra, un albero «magico», pluricentenario, con radici che scendendo dall’alto formano giovani tronchi.
Ogni tronco è come fasciato da drappi colorati, bianchi o rossi, a terra sono depositati piatti in cui si lasciano offerte.
Coretta racconta che di sera compare una specie di sacerdotessa che fa riti magici… La guida è piuttosto scettica sui risultati, ma quando non si ha nulla e si è disperati, anche qualche parola cantata da una vecchia maga può essere di conforto!
Dovunque ci sono venditori di oggetti, adulti e bambini: un uomo ha un lemure sulla spalla e quando vede una persona robusta glielo lancia addosso, per fare una foto e ricevere in cambio qualche moneta. Accettano tutto, senza problemi: euro, dollari, rupie.
 

 
Io apro il mio zaino e distribuisco tutte le caramelle che ho ai bambini che sussurrano «Bonbons» e «Merci – thank you - grazie» e da loro compro piccoli magneti e altre sciocchezze.
Poi ci rechiamo in città, a Hell, una povera ammucchiata di catapecchie tra cui spunta ogni tanto un palazzotto coloniale decadente che a stento fa immaginare un’antica nobiltà.
Ce n’è anche uno su cui si legge «Theatre»…
Coretta ci accompagna al mercato, una vecchia costruzione in muratura dove la folla e l’odore rendono difficile l’entrata: si vendono spezie (tutte impacchettate in plastica…) e alimenti.
Su banchetti si sovrappongono pesci, crostacei e molluschi ricoperti di mosche. Tra le cassette, seduto su una di esse, c’è un bel bambino. Provo così tanta pietà che vorrei andare via.
Dico che d’ora in poi andrò a visitare solo Paesi ricchi, per non sentirmi a disagio, in colpa per essere lì da turista.
 
A fine giro, in una grande piazza alberata, le donne vendono i loro manufatti: sono tovaglie stese come panni ad asciugare, colorate e allegre.
Ne compro due e mi infilo in un bar-ristorante con giardino per bere una bibita e trovare un wifi. È veloce, mi connetto con il mio mondo, ma non ho tanta voglia di raccontare.
Mi piacerebbe fare qualcosa per queste donne e questi bambini che nascono numerosi e che crescono sulle spalle delle loro mamme, perché – non sposandosi che raramente – non hanno mariti su cui fare affidamento.

Luciana Grillo – [email protected]
(Continua)


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