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Le mie isole Maurizius – Di Luciana Grillo

Rispetto al Madagascar è un Paese solido, con un tenore di vita mediamente buono

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L’isola di Mauritius è la più importante dell’arcipelago delle Mascarene. Oltre la capitale - Port Louis - ci sono altre isole più piccole e meno frequentate.
I portoghesi, nel 1500, la definirono «la stella e la chiave dell’Oceano Indiano»: la trovarono abitata da popolazioni di diversa origine (malesi, arabi, africani, malgasci) e l’abbandonarono presto, perché troppo lontana dal resto del mondo.
A fine secolo arrivarono gli olandesi che la battezzarono col nome del principe Maurizio di Nassau; nel 1700 fu la volta dei francesi, a cui fu sottratta dagli inglesi un secolo dopo.
E furono proprio gli inglesi ad abolire la schiavitù nel 1835.
 
Dal 1968 è una repubblica indipendente, tranquilla e pacifica che possiede uno dei PIL più alti pro-capite dell’Africa.
Vive di pesca e turismo ed è membro del Commonwealth dal 1992.
Coltiva la canna da zucchero e produce un ottimo rum.
Le lingue ufficiali sono l’inglese e il francese, ma i mauriziani parlano un loro creolo, frutto di tante contaminazioni.
La cosa che colpisce di più è la grande mescolanza di razze. E sembra che la convivenza sia assolutamente pacifica.
 

 
Attraverso l’Esplanade, percorro il lungomare dove si trovano un Museo della Posta, una galleria con alcuni negozi e la copia di un antico veliero, i luoghi delle banche e il pittoresco mercato dove si intrecciano i profumi della vaniglia con quelli di altre spezie.
Al piano terra, frutta e verdure, al primo piano, oggetti di artigianato.
Dovunque c’è il dodo, stampato sui parei o dipinto su piccoli arazzi. Non si contano i magneti.
Compro stecche di vaniglia, tè alla vaniglia, vari oggetti con il dodo, l’uccello tipico dell’isola ormai estinto.
Poi in taxi raggiungo la spiaggia di Balaclava, dove palme, piante varie e capanne si affacciano sul mare.
 
Sono sulla spiaggia di un résort - Oberoi - e chiedo ad un cameriere se posso fermarmi.
È gentilissimo, mi dice che la spiaggia è a mia disposizione e che non devo sentirmi obbligata a consumare qualcosa.
Mi sistemo sotto un albero, davanti a una specie di piscina naturale. Il mare è bello, sulla spiaggia raccolgo coralli.
Seconda tappa, in un negozio di souvenir: su tutti svettano i velieri, modellini fedeli realizzati a mano, con pazienza certosina.
Manco a farlo apposta, tra gli operai la maggioranza è di donne.
 

 
Visito anche il cratere di un vulcano e il tempio di Shiva, in un ampio parco.
Mi faccio decorare la fronte con goccia rossa, mi faccio benedire e mettere al polso un cordoncino rosso, che si slega immediatamente (desiderio espresso e realizzato simultaneamente?).
Poi cascate, terre colorate incantevoli e grandi tartarughe.
In un supermercato la guida (competente e chiara, forse si chiama Maliny) ci aiuta a scegliere del buon rum «agricole».
 
Altra escursione mi porta in battello all’Ile aux Cerfs, un vero paradiso tropicale, ben attrezzato.
Prende il nome dai cervi che gli olandesi portarono sull’isola e che oggi non esistono più.
La sabbia chiara è ricca di frammenti di coralli e conchiglie, che raccolgo con entusiasmo.
Fermarsi più giorni mi consente di prendere confidenza con l’isola: a piedi percorro il viale principale, fino al palazzo comunale.
Prima di rientrare a bordo, mi fermo in una gelateria dal nome italiano, «Mammamia». Il personale è mauriziano, sorridente e cortese. Il gelato è buono.
 
Rispetto al Madagascar, vedo un Paese solido, con un tenore di vita mediamente buono. Qualche mendicante solo verso il mercato.
Mi rincuoro, penso che il turismo possa ancora sostenere questa popolazione che sa saggiamente amministrarsi.
Sul lungomare, fontane, statue e giochi d’acqua.

Luciana Grillo – [email protected]
(Puntata precedente)


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