Le mie isole: Corfù – Di Luciana Grillo
Corfù, ultima isola del mio viaggio, è una località turistica con belle spiagge, piccoli porti, siti archeologici, tracce di storia gloriosa
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Corfù: ultima isola del mio viaggio, dove ritorno per l’ennesima volta, affascinata ancora dalla sua storia, dal suo essere un’isola del mar Ionio posta di fronte all’Epiro – terra di Pirro (ricordi lontani!) – da quel nome antico di Corcyra, dalla leggenda che la vuole Isola dei Feaci, dal suo legame forte con il mondo romano e bizantino prima, poi normanno, dato che fu conquistata da Roberto il Guiscardo intorno al 1080.
Nei secoli successivi fu dominata da Genovesi e Veneziani, per essere consegnata come dote nuziale a Manfredi, «bello biondo e di gentile aspetto», figlio di Federico II di Svevia.
Il destino di quest’isola è legato al Regno delle Due Sicilie, a Carlo d’Angiò che se ne impossessò nel 1266, a Filippo I di Taranto che la incluse nel Principato di Taranto, al re di Napoli Ladislao che nel 1402 la vendette ai Veneziani.
Tra una guerra e un’altra, mentre si firmavano trattati che ne decidevano la proprietà, come quello di Campoformio, Corfù fu governata da francesi, russo-turchi e inglesi, riunita alla Grecia nel 1864, occupata da italiani dal 1941 al 1943, terra di scontro aspro tra italiani e tedeschi e infine, nel 1944, restituita alla Grecia a cui era legata dalla lingua e dalla comune origine.
Sul mare, davanti alla grande piazza d’armi, si erge la Fortezza Vecchia, con i cortili, le costruzioni basse e possenti, la chiesa di san Giorgio e i due bastioni dai nomi veneti – Savorgnan e Martinengo – che proteggevano le galee in porto; oltre la «spianàda», dove gli inglesi giocavano a cricket, si apre il listòn, il viale principale, ai cui lati si susseguono palazzi settecenteschi con bei portici, su cui si aprono i soliti negozi di souvenir.
Oltre, un dedalo di piccole strade che si intrecciano, ci sono chiese, la piazza della cattedrale e un monumento a Morosini.
Le chiese sono seicentesche, in quella dedicata al santo vescovo cipriota Spiridione, protettore di Corfù, una piccola cappella, come nascosta dietro l’iconostasi, contiene la bara d’argento con le reliquie del santo. In un’altra chiesa, la cattedrale ortodossa, un’altra bara d’argento conserva le reliquie di santa Teodora Augusta. Candele e argenti donano a queste chiese una lucentezza metallica.
In alto, domina la città la Fortezza Nuova.
Il Museo archeologico è interessante, il pezzo più importante è il frontone della Gorgone che, insieme al leone di Menécrate e alle piccole statue in terracotta di Artemide, rende preziosa la visita.
Ma per chi come me da bambina è cresciuta vedendo e rivedendo i film che raccontavano le vicende di Sissi, una incursione a sud è obbligatoria: l’Achilleion, la grande casa immersa nel verde dove l’imperatrice Elisabetta si rifugiò dopo la morte tragica del figlio Rodolfo, è una tappa imperdibile.
Da questi giardini terrazzati, ricchi di palme e di aiuole fiorite, Sissi guardava il mare, partiva per lunghe passeggiate, sognava il mondo classico… una statua di Achille ferito testimonia il suo amore per la mitologia e (forse) la consapevolezza dell’ineluttabilità del dolore.
Corfù naturalmente è una località turistica, ha spiagge belle, piccoli porti, siti archeologici, tracce di una fortezza angioina.
Ma il mio viaggio si ferma qui: spero di tornare e, da Corfù, di scendere verso sud e rivedere la mitica Zacinto di foscoliana memoria e Cefalonia, tragico luogo di morte per tanti italiani.
Se tornassi lì, mi allungherei a Itaca, la petrosa Itaca… alla ricerca di Ulisse.
Luciana Grillo – [email protected]
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