Il conflitto interno e i rischi di balcanizzazione dell’Ucraina
Attenta analisi politica e militare effettuata Marco Di Liddo e Francesco Tosato
Nella foto: Kiev.
Il quadro politico
A sei mesi di distanza dall’inizio delle rivolte filo-europeiste di Kiev, la crisi ucraina si è ulteriormente evoluta, entrando in una nuova fase, precisamente la terza, che ha assunto i primi e preoccupanti tratti di un conflitto interno su larga scala.
Infatti, a partire dal primo stadio, le proteste di Euromaidan di novembre 2013-febbraio 2014 culminate con la destituzione di Yanucovich e l’ascesa del governo nazionalista filo-occidentale di Yatseniuk e Turchinov, attraverso il secondo, la secessione e l’annessione della Crimea alla Russia, i toni del dibattito politico e del confronto popolare tra filo-europeisti e filo-russi sono diventati sempre più radicali, fino a trasformarsi in una vera e propria insurrezione armata nelle regioni orientali e meridionali del Paese.
Sull’onda degli avvenimenti crimeani, dallo scorso marzo analoghe manifestazioni di dissenso verso il nuovo governo di Kiev si sono moltiplicate ad Odessa, Donetsk, Lugansk, Kharkhov, Slovyansk e Kramatorsk, dove movimenti e milizie russofile hanno occupato le principali sedi istituzionali e caserme della polizia manifestando la volontà di secedere dall’Ucraina per diventare indipendenti o unirsi alla Russia.
Tra queste, il soggetto più influente è sicuramente la Repubblica Popolare di Donestk (RPD), auto-dichiarata autorità della regione orientale del Donbass e prossima (11 maggio) a svolgere un referendum che ne sancirà il futuro destino politico, probabilmente lontano da Kiev e vicino a Mosca.
La RPD, guidata da Pavel Gubarev e Denis Pushilin, dispone di un braccio armato, la Milizia Popolare del Donbass (MPD), composta da circa 2.500 uomini e comandata da Igor Kakidzyanov.
Diversa è la situazione ad Odessa, dove i filorussi appaiono in minoranza rispetto ai sostenitori di Kiev, ma dove il clima rischia di diventare sempre più incandescente a causa dell’afflusso dei profughi crimeani, molti dei quali appartenenti a famiglie di ufficiali della Marina Militare trasferitisi dalle vecchia base di Sebastopoli, decisi a contrastare violentemente qualsiasi manifestazione pro-russa nella regione.
A differenza della prima fase della rivolta, quando la divisione del fronte si basava sostanzialmente sulla diversità linguistica e culturale (russofoni e russi contro ucrainofoni e ucraini), la mobilitazione popolare attuale ha acuito alcuni connotati politici specifici, in quanto i movimenti e le milizie dell’oriente e del meridione ucraino non solo rivendicano la propria vicinanza alla Russia, ma condannano gli eventi di Euromaidan nonché l’agenda e i valori del nuovo governo.
Infatti, per quanto il Cremlino possa aver offerto supporto politico, logistico e operativo ai movimenti e alle milizie locali, il sentimento filorusso è autentico e non creato artificialmente dai servizi segreti e dalla macchina propagandistica russa. In questo senso, la vera discriminante è costituita dal numero di simpatizzanti del Cremlino realmente presenti nelle regioni in rivolta e di come l’amministrazione di Putin sarà in grado di fomentare i sentimenti di avversione verso Kiev.
Se si guarda al caso crimeano e al passaggio dei militari e dei funzionari di polizia ucraini dalla parte russa per ragione di opportunità economica, si può intuire che anche nel Donbass la prospettiva di ricevere pensioni e stipendi migliori potrebbe rappresentare una leva in grado di orientare molti consensi.
Inoltre, uno dei timori più grande da parte della popolazione russofila è il ruolo dei movimenti e dei partiti di estrema destra ucraini, decisivi per la destituzione di Yanucovich, nei confronti dei quali il governo di Kiev ha sinora dimostrato scarsa capacità di controllo e un atteggiamento ambiguo.
Da parte sua, l’autorità centrale ucraina ha preferito adottare una strategia muscolare improntata sulla repressione armata dei movimenti secessionisti. Infatti, a partire dal 16 aprile, il Presidente ad Interim Turchinov ha ordinato una massiccia operazione anti-terrorismo avente lo scopo di disarmare le milizie e ripristinare il controllo statale nelle città in rivolta.
Appare significativo come Kiev abbia utilizzato un dispositivo eterogeneo, formato da Esercito, Aereonautica, Forze Speciali dei servizi di sicurezza, Guardia Nazionale (la neonata formazione militare, dai compiti ancora non definiti, composta in larga maggioranza da coscritti con meno di un mese di addestramento, alcuni dei quali ex attivisti di Euromaidan) e milizie paramilitari affiliate ai movimenti di estrema destra, come Settore Destro.
Tale dispiegamento è stato reso necessario dalla scarsa affidabilità sia della polizia, che in molte delle regioni orientali e meridionali ha familiarizzato con gli insorti, passando dalla loro parte, sia di alcune unità d’elite delle Forze Armate che, a causa della loro provenienza, hanno rifiutato di intervenire contro i manifestanti.
Nel complesso, nonostante l’operazione anti-terrorismo è riuscita a sedare le rivolte e disperdere i separatisti filo-russi in diverse città del Paese, il bilancio è stato di diverse decine di morti. Inoltre, laddove i manifestanti antigovernativi sono stati affrontati dalle milizie di estrema destra si sono verificati episodi di estrema violenza, come nel caso di Odessa, dove, il 2 maggio, oltre 40 filorussi sono stati uccisi mentre erano asserragliati nel Palazzo dei Sindacati a cui è stato dato fuoco. Sinora, l’operazione anti-terrorismo e gli scontri tra fazioni avverse hanno causato la morte di circa 100 persone.
Odessa.
Dal punto di vista politico, la repressione messa in atto da Kiev rischia di radicalizzare ulteriormente le divisioni e lo scontro tra filorussi e filooccidentali. Infatti, agendo in maniera così muscolare, il governo centrale potrebbe essere percepito dalla popolazione locale come una vera e propria forza occupante e non come una legittima istituzione rappresentativa di tutte le istanze nazionali. In questo modo, l’acredine tra le autorità e la società civile filorussa rischia di aumentare in modo incontrollato.
Appare particolarmente preoccupante come nessun membro del governo e nessuna personalità istituzionale si sia recata in visita nelle regioni in rivolta per cercare di favorire una soluzione pacifica della crisi e per aprire un canale negoziale tra establishment e rivoltosi. Inoltre, le dichiarazioni di Turchinov sull’incontrollabilità governativa delle regioni ribelli e sulla possibilità di riconoscere come legittime e rappresentative le prossime elezioni presidenziali del 25 maggio anche in assenza del voto di tutta la popolazione lasciano presagire preoccupanti incognite sul futuro del Paese. Infatti, esiste il rischio concreto che il prossimo Presidente ucraino sia eletto senza che una larga fetta della popolazione orientale possa votare. L’inevitabile risultato sarebbe un Presidente con piena legittimità formale ma scarsa rappresentatività e legittimità politica.
Quindi, lungi dall’essere il punto di svolta delle crisi, le elezioni del 25 maggio potrebbero ulteriormente acuite la violenza dello scontro, facendo precipitare il Paese nella guerra civile e determinando uno scenario balcanizzato.
Con il passare dei mesi, dunque, la possibilità di una divisione del Paese potrebbe apparire una delle soluzioni più valide per evitare ulteriori spargimenti di sangue. In ogni caso, il clima pre-elettorale in Ucraina appare surreale, in quanto le cronache giornalistiche e la vita pubblica sono dominate dalla crisi di sicurezza e i dibattiti politici risultano assai limitati.
Ad oggi, il candidato favorito a raccogliere la difficile e pensate eredità di Yanucovich e Turchinov potrebbe essere il filo-occidentale Petro Poroshenko, magnate dell’industria dolciaria con un prestigioso passato di incarichi istituzionali come Ministro durante la Presidente Yushchenko.
Il riconoscimento internazionale dell’esito delle presidenziali ucraine rischia, a sua volta, di deteriorare ulteriormente i rapporti tra i sostenitori di Kiev e quelli dei separatisti. Infatti, L’UE e gli Stati Uniti potrebbero verosimilmente riconoscere come valide e legittime le elezioni, consentendo un maggior consolidamento dell’esecutivo ucraino e aprendo ad una possibile nuova fase nel processo di negoziazione per l’ingresso di Kiev nell’UE e nella NATO.
Sotto questo profilo, l’Italia è chiamata a svolgere un ruolo di primo piano, soprattutto per l’incombente semestre di presidenza europea. Si tratta di un ruolo di assoluta delicatezza diplomatica, in quanto il nostro Paese si troverebbe sia ad ascoltare quelle che potrebbero essere le richieste, le necessità e gli auspici politici del governo filo-europeista e filo-atlantista di Kiev, sia a promuovere il dialogo e il confronto pacifico tra le fazioni in lotta.
Questa opera negoziale dovrà tenere conto di tutte le variabili, compresa la difesa del diritto di integrità territoriale di Kiev e quello di autodeterminazione dei separatisti ucraini orientali. Inoltre, l’Italia dovrà confrontarsi con la difesa dei propri interessi nazionali e dei propri rapporti privilegiati con la Russia, che hanno nella partnership economica e nelle necessità energetiche i loro punti principali. In questo momento i rapporti economici in atto e in potenza, la dipendenza energetica e le prospettive di sviluppo di una partnership politica più salda rendono meno sacrificabili i legami con Mosca rispetto a quelli con Kiev.
Infatti, anche in caso di maggiore integrazione europeista e atlantista, le opportunità economiche del mercato ucraino, sia civile che militare, saranno probabilmente appannaggio di Germania, Stati Uniti e Polonia.
In definitiva, per Roma è un’occasione di grande rilancio internazionale in un momento in cui l’Unione Europea rischia di confrontarsi con un Parlamento fortemente euroscettico, la Germania (principale sostenitrice delle rivolte filo-europeiste) paga un profondo raffreddamento dei rapporti con Mosca e gli Stati Uniti, al di là delle sanzioni mirate e delle condanne di principio non sembrano voler impegnarsi profondamente nella crisi ucraina.
In questo senso, qualora la divisione dell’Ucraina si concretizzasse quale unica soluzione possibile Roma potrebbe guidare i negoziati tra governo di Kiev e suoi sponsor da una parte, separatisi e Russia dall’altra.
Charkiv.
Resta da definire quale sarà la reazione russa alla repressione dei movimenti separatisti da parte del governo. In più occasioni, Mosca ha dichiarato come sarebbe obbligata ad intervenire militarmente in Ucraina nel caso in cui i cittadini russi risultassero in pericolo.
Le diverse decine di morti che nelle ultime settimane hanno insanguinato le regioni orientali e meridionali del Paese rischiano di rappresentare il pretesto per l’intervento. Inoltre, negli ultimi giorni sono stati gli stessi separatisti ad invocare l’invio di truppe russe come difesa dalle Forze Armate di Kiev.
Si tratta di una richiesta molto pericolosa, in quanto non solo la Russia ha nella propria dottrina militare il dovere di intervenire in difesa dei propri cittadini all’estero, ma anche perché il Presidente Putin ha costruito una parte del proprio consenso interno sulla propria assertività internazionale e sul rilancio della Russia come grande attore di rilevanza globale.
Qualora Mosca non riuscisse a difendere i russi in Ucraina, il consenso e la stabilità del sistema putinista potrebbero sensibilmente flettere. In una situazione del genere, il Cremlino avrebbe due opzioni: la prima, una massiccia operazione militare, legittimata dall’ambiguo diritto di ingerenza umanitaria, i cui costi politici, economici e militari potrebbero essere molto sostenuti; la seconda, continuare ad alimentare la rivolta per sedersi al tavolo delle trattative in una posizione di forza.
Sia nel primo che nel secondo caso l’obbiettivo finale del Cremlino sarebbe la divisione del Paese e la probabile annessione delle regioni orientali, replicando lo schema della Crimea.
Tuttavia, esiste una terza strategia. Infatti, la deficitaria situazione fiscale ucraina e le stringenti condizioni imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dall’UE per l’erogazione di prestiti volti ad evitare il default potrebbero causare il collasso dell’economia ucraina, con un conseguente malcontento popolare verso il governo europeista.
In quel caso, i filorussi potrebbero addirittura tornare a Kiev e indirizzare nuovamente il Paese verso il Cremlino. Quest’ultima opzione sarebbe percorribile nel medio periodo, quando le riforme economiche liberiste non offrirebbero alcun risultato e, soprattutto, se il negoziato di ingresso nella UE e nella NATO dovesse procedere a singhiozzi.
Un eventuale intervento militare russo in Ucraina porrebbe il resto della Comunità Internazionale di fronte ad una scelta molto difficile, ossia se continuare con le sanzioni contro Mosca, al momento dimostratesi poco efficaci, osteggiate dagli ambienti finanziari e industriali sia occidentali che russi e in grado di danneggiare l’economia globale e non solo quella russa, oppure rispondere militarmente al Cremlino, ipotesi, quest’ultima, al limite del caso accademico.
Infatti, a parte la deterrenza nucleare vicendevolmente esercitata dai due blocchi, la crisi economica e gli impegni di stabilizzazione in diversi teatri di crisi che già gravano sul bilancio e sul dispiegamento degli assetti militari dei Paesi Occidentali, la NATO non potrebbe intervenire.
Questo sia perché non sarebbe possibile invocare l’articolo 5 del trattato sia perché il Consiglio di Sicurezza non potrebbe tecnicamente autorizzare alcun tipo di intervento per via del veto russo. Inoltre, su qualsiasi eventuale impegno NATO pesa il volere degli Stati Uniti che, pur avendo investito importanti capitali economici e politici nelle rivoluzioni e nelle rivolte ucraine, al momento non sembrano inclini ad impegno massiccio in Europa Orientale.
In ogni caso, cercare di isolare politicamente ed economicamente la Russia appare molto difficile, non solo perché la crisi ucraina, percepita come un problema prettamente euro- atlantico, non tange altri attori internazionali di rilievo come India e Cina, ma anche perché il Cremlino ha una politica estera di grande respiro e sempre più rivolta verso l’Asia.
In questo senso, il raffreddamento delle relazioni tra Mosca e Washington-Bruxelles rischia di avvicinare ulteriormente il Cremlino a Pechino, creando i presupposti per la definizione di due fronti opposti e concorrenti in Asia Centrale, Medioriente e Africa. Inoltre, Stati Uniti, Russia ed Europa devono confrontarsi su molti altri tavoli negoziali internazionali, quali il dossier del nucleare iraniano e nord coreano, la crisi siriana e la lotta la terrorismo di matrice fondamentalista.
Dunque, la crisi ucraina rischia di avere pesanti ripercussioni su tutto lo scacchiere internazionale e non soltanto in Europa, con effetti politici ed economici pesanti ed imprevedibili. Infine, per quanto riguarda il dibattito interno alla NATO, i Paesi membri dovranno confrontarsi sul reale valore e sulla convenienza sia politica che militare di una nuova stagione di allargamento dell’Alleanza ad est e lungo i confini con la Russia.
Černivci.
Il quadro militare
Poco prima dell'alba del 2 maggio, le Forze Armate e di Sicurezza ucraine hanno ripreso l'operazione antiterrorismo nell'Est del Paese con l'obiettivo principale di riprendere il controllo delle aree urbane di Kramatorsk e Slovyansk attualmente in mano alla componente meglio armata e preparata dei miliziani filorussi.
Sebbene da un punto di vista politico, queste cittadine siano di gran lunga meno importanti rispetto ai capoluoghi di Donetsk e Lugansk, dal lato militare esse risultano di rilievo strategico. Infatti, nei pressi di Kramatorsk è presente un aeroporto indispensabile per lo sforzo bellico di Kiev che lo utilizza quale base per i propri elicotteri da trasporto e da combattimento oltre che come nodo logistico.
Attualmente l'installazione è minacciata dai miliziani di base a Kramatorsk che già la scorsa settimana hanno messo a segno un attentato distruggendo un elicottero in fase di rullaggio.
Ecco quindi che la bonifica della cittadina ha lo scopo di mettere in sicurezza le linee logistiche con Kiev ed è funzionale ad ulteriori operazioni nell'Est del Paese.
Ancora più delicata è la situazione nell'area di Slovyansk, infatti, circa 30 chilometri a sud est del capoluogo, nei pressi della cittadina di Soledar, in una vecchia miniera di sale, è custodito uno dei più grandi depositi di armi leggere del continente europeo. In particolare, si tratta di più un milione di pezzi tra fucili d'assalto Kalashnikov e altri armamenti per la fanteria. Conseguentemente, è indispensabile per il Governo ucraino ripristinare le condizioni di sicurezza attorno al deposito eliminando la sacca di resistenza di Slovyansk.
Ciò in considerazione della duplice necessità, da un lato, di impedire ai filorussi di conquistare l'installazione e, dall'altro, di procedere all'utilizzo delle armi in esso contenute per equipaggiare le nuove unità dell'Esercito ucraino.
Infatti, il Presidente Turchinov, ha annunciato il ripristino della leva obbligatoria per tutti i maschi di età compresa tra 18 e 25 anni e vi è quindi la necessità di reperire il materiale per armare ed equipaggiare questo nuovo personale.
Il ritorno alla coscrizione va visto sia in chiave anti russa per incrementare, almeno nominalmente, il numero dei soldati impiegabili in caso di confronto con Mosca, sia in ottica interna, allo scopo di privare la rivolta della componente più giovane di sesso maschile che sarà sicuramente trasferita ad “addestrarsi” nell'occidente ucraino sotto stretto controllo delle autorità di Kiev.
Bombe molotov a Kiev (foto l'Adigetto.it).
Passando ad analizzare la condotta delle operazioni sul campo, il Governo di Kiev è costretto ad affidarsi ad un eterogeneo insieme di unità dell'Esercito, del Servizio di Sicurezza Interno (SBU) e della neocostituita Guardia Nazionale visto il totale collasso dell'apparato di ordine pubblico locale e la bassa affidabilità del personale delle unità delle Forze Armate di stanza nella parte orientale del Paese (come dimostrato dal caso della 25a Brigata Aeromobile che ha solidarizzato coi filorussi).
Le truppe attualmente più utilizzate, quindi, risultano essere l'unità Alfa, reparto di elitè dell'SBU e la 95a Brigata Aeromobile fatta giungere appositamente da Zhytomyr (ovest dell'Ucraina).
Nel complesso, l'abbattimento, nelle prime fasi dell'operazione, di due elicotteri d'attacco Mi-24 (probabilmente ad opera di missili antiaerei spalleggiabili - MANPADS) e il danneggiamento di un altro velivolo ad ala rotante da trasporto Mi-8 (per mezzo di colpi di armi da fuoco), unito al lento e difficoltoso avanzamento delle forze terrestri dimostrano tutte le lacune tecniche, dottrinali e addestrative che caratterizzano le Forze Armate ucraine stremate da anni di sostanziale dissesto.
D'altro canto, se fosse confermato l'abbattimento di almeno un elicottero per mezzo di missili, emergerebbe con certezza quantomeno la presenza di personale altamente addestrato tra i filorussi, posto che tale tipo di arma potrebbe essere stata razziata da depositi delle Forze Armate ucraine ovvero fornita da attori statuali esterni.
Anche i tragici fatti di Odessa, accaduti in contemporanea, dimostrano quanto sia scarsa la presa del Governo di Kiev sulle Forze di Polizia non solo nell'est del Paese, ma anche nel sud.
Qui, infatti, le unità antisommossa della Polizia cittadina si sono immediatamente ritirate dopo i primissimi scontri lasciando che nazionalisti ucraini e simpatizzanti filorussi venissero a contatto. Questa situazione, unita ad un sostanziale ritardo nell'intervento presso il Palazzo dei Sindacati ha determinato le condizioni necessarie allo sviluppo dei tragici eventi costati la vita a più di 40 persone.
In conclusione, è opportuno segnalare come l'operazione antiterrorismo portata avanti da Kiev, qualora dovesse comportare un eccessivo numero di perdite tra i civili filorussi potrebbe costituire il pretesto decisivo per la più volte paventata operazione di “peacekeeping” russa nell'Est del Paese.
Che tale scenario sia tutt'altro che remoto, lo dimostra l'ingente schieramento di forze che Mosca mantiene in stato di allerta, a poche decine di chilometri dai confini ucraini, e che viene valutato in circa 40.000 uomini provenienti dai Distretti Militari Occidentale, Centrale e Meridionale.
I maggiori concentramenti di truppe russe lungo la frontiera ucraina sono segnalati lungo le direttrici centro settentrionale (area di Belgorod) e meridionale (Kuzminka – Novocherkassk) dove sono in attesa di istruzioni diverse brigate motorizzate russe oltre ad unità di paracadutisti e truppe speciali.
Quindi, è interesse primario del Governo ucraino e della Comunità Internazionale che l'operazione antiterrorismo sia gestita in maniera cauta ed equilibrata al fine di scongiurare l’intervento militare di Mosca.
Marco Di Liddo e Francesco Tosato
(Ce.S.I)
Foto Wikipedia e l'Adigetto.it
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