Occupazione delle mamme: il ritardo italiano
Secondo l'economista americano Flinn, struttura della famiglia e tasso di istruzione dei genitori influenzano maggiormente lo sviluppo del figlio, rispetto all'occupazione della madre
Il nostro Paese si distingue a
livello europeo per due record negativi: il tasso di natalità più
basso (1,34%, rispetto all'1,8% della Danimarca e del Regno Unito e
quasi il 2% della Francia) e il minor tasso di occupazione
femminile (45,3% contro il 71% della Danimarca, il 65% del Regno
Unito e il 58% della Francia). Statistiche preoccupanti che, ancora
una volta, fotografano il ritardo di cui soffre l'Italia nelle
politiche sociali e lavorative.
Con il richiamo a questi dati si è aperto oggi pomeriggio nella
sala Depero della Provincia autonoma di Trento, l'incontro «Madri
che lavorano e capitale umano dei figli», promosso nell'ambito
della kermesse del Festival dell'Economia di Trento. Relatore
d'eccezione, Christopher Flinn, docente di
Economia all'Università di New York e studioso di dinamiche del
mercato del lavoro e mobilità dei lavoratori.
«In Italia assistiamo ad un circolo vizioso: facciamo meno figli e
lavoriamo poco - ha commentato aprendo i lavori dell'incontro la
giornalista Rai, Myrta Merlino. - «In realtà, le
donne desiderano fare figli, ma il loro desiderio di maternità nel
nostro Paese viene spesso frustrato. Secondo le statistiche,
infatti, le giovani donne (tra i 18 e i 29 anni) dichiarano di
voler avere due figli nel 61% dei casi, tre nel 25% e soltanto il
12% delle intervistate vorrebbe solo un figlio. Per quanto riguarda
la gestione della famiglia, inoltre, recenti dati ISTAT ci dicono
che i padri contribuiscono poco: ben il 63% di donne intervistate
ritiene di non ricevere da loro alcun tipo di aiuto nelle
incombenze domestiche. Ma la situazione per le donne è pesante
anche nell'ambiente lavorativo: crescono infatti anche i casi di
discriminazione professionale sulle madri tra i 30 e i 40
anni.»
«Fare figli in Italia è molto costoso, soprattutto per ragioni di
cultura - ha commentato Christopher Flinn. - I
figli, ad esempio, rimangono in casa a lungo e le valutazioni
economiche spesso mortificano la voglia di maternità e paternità.
Nonostante i recenti, timidi tentativi di apertura (come l'avvio di
asili nido aziendali e delle prime esperienze di telelavoro), il
mercato del lavoro avrebbe bisogno di una maggiore liberalizzazione
per favorire le occasioni di rientro delle donne (più part-time,
migliori politiche di conciliazione). Pur avendo raggiunto ottimi
livelli qualitativi, inoltre, l'assistenza all'infanzia in Italia
non è ancora adeguata ai tempi del mercato del lavoro. Per
incoraggiare le madri, deve diventare una risorsa maggiormente
credibile.»
Sul fronte della ricerca economica, oggetto dell'analisi di Flinn,
i risultati disponibili in letteratura non sembrano tuttavia creare
una causalità forte fra lavoro delle madri e conseguenze, in
termini di successo o in successo dei figli.
«ll capitale umano è un investimento, frutto di un processo
dinamico che coinvolge due fattori: soldi e tempo. Nel caso delle
dinamiche familiari, è difficile misurare i risultati e valutare
gli esiti cognitivi dei figli in termini di investimento. Entrano
in gioco, infatti, molte variabili: il livello di istruzione, il
contesto, il benessere economico, la presenza di servizi di
supporto alla genitorialità e di un sistema scolastico adeguato.
Inoltre, tutti gli studi condotti finora, esclusivamente negli
Stati Uniti e nel Regno Unito, da economisti del lavoro o della
famiglia su questo argomento sono estremamente recenti e risalgono,
al massimo, a cinquant'anni fa con risultati, dunque, ancora
empirici.»
«Quanto, per il momento, sembra emergere dalle osservazioni
scientifiche sui rendimenti dei figli in diversi periodi della vita
è che, di fatto, l'occupazione a tempo pieno della madre (presa
come dato a sé, a parità di condizioni) comporta effetti negativi
molto limitati. In più, sembrerebbe che l'occupazione part-time non
presenti effetti negativi, piuttosto lievi benefici. Inoltre,
l'occupazione part-time sembra, da altri studi, abbassare lo stress
psicologico nella madre. Condizione che invece aumenta nel caso di
occupazione a tempo pieno. Ciò che maggiormente influisce, più che
la condizione occupazionale della madre, è il suo tasso di
istruzione, come ben è stato evidenziato negli studi di Gary
Becker. Se la madre ha un buon livello di istruzione, anche se
lavora, il figlio tenderà ad avere maggior successo nella vita e
nel lavoro. Questo anche per via di un positivo effetto di
imitazione innescato dall'esempio della madre. Inoltre è
particolarmente importante capire perché la madre sceglie di
lavorare: se si tratta di motivazioni di tipo economico o se
entrano in gioco altri fattori.»
«Ciò che invece è evidente - ha aggiunto Flinn - è che il fattore
tempo (equilibrio tra tempo per sé e tempo per i figli) incide di
più nell'esito cognitivo finale del bambino, rispetto al fattore
reddito disponibile. Ad esempio, è interessante indagare, ai fini
della valutazione, se nel contesto sociale dove vive la famiglia
esistono adeguati surrogati (asili nido, disponibilità di nonni e
parenti, condizioni lavorative favorevoli) per sopperire alla
mancanza di tempo di una madre che lavora. Questo può fare la
differenza.»
«Per misurare la qualità del figlio - conclude Flinn - occorre
sommare tre fattori: le scelte familiari (gli input), l'ambiente
esterno (scuola, mercato del lavoro…) e, infine, i talenti innati
dell'individuo. Ecco perché la valutazione è tanto difficile. Un
fattore che, invece, sicuramente influisce molto sul successo dei
figli è la struttura della famiglia. Alcuni studi condotti negli
Stati Uniti (dove metà dei matrimoni si conclude con un divorzio)
dimostrano come i figli di genitori separati o di madri non sposate
hanno, in media, risultati peggiori nella vita.»
(as)
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