Quali regole comportamentali possono favorire la cooperazione?
Alcuni casi concreti di Paesi in via di sviluppo possono aiutarci a capire meglio il fenomeno. Ecco cosa dicono gli studi sui meccanismi e le buone pratiche
Cosa significa, in termine di
vantaggio individuale, cooperare? Quanto - e come - l'azione
collettiva può fare meglio di quella del singolo? E' stato questo
il filo logico dell'intervento di Oriana Bandiera in uno dei primi
incontri di questo Festival dell'Economia 2008.
La conferenza - introdotta da Marco Faillo, ricercatore alla
facoltà di Economia dell'Università di Trento ed intitolata
«Problemi di azione collettiva e cooperazione: lezioni da Paesi in
via di sviluppo ed esperimenti di laboratorio» - è stata
l'occasione per analizzare le dinamiche che determinano il successo
di molte attività economiche con particolare riguardo ad alcuni
esempi di situazioni concrete che Oriana Bandiera ha studiato da
vicino.
Tutto parte, in pratica, dal dilemma del prigioniero e dalla teoria
dei giochi. Ma qual è il problema?
«In molte circostanze, le scelte che massimizzano il benessere dei
singoli individui non coincidono con quelle che massimizzano il
benessere della società ma - prosegue la ricercatrice - se gli
individui non riescono ad agire 'collettivamente' il risultato sarà
peggiore per tutti.»
E a supporto della tesi che resterà sottesa a tutta la conferenza
vengono citati due esempi illuminanti: l'azione dei pescatori in un
lago (se il pesce lo pesco io, non lo peschi tu) e la pulizia dei
giardini (se nessuno cestina le cartacce il parco sarà sporco per
tutti).
«Vi sembrano esempi di poco conto? - Chiede provocatoriamente la
Bandiera? - Se ci pensate bene al primo esempio si può sostituire
il caso, ben più importante. dello sfruttamento ittico degli
oceani. E il secondo invece è metaforico di uno dei più gravi
problemi che l'umanità sta affrontando e cioè come riciclare i
rifiuti e qual è lo sviluppo sostenibile che, come umanità, ci
possiamo permettere.»
Altro problema è che «la teoria non offre indicazioni precise sulle
condizioni che favoriscono la cooperazione». Un filone di ricerca
sta lavorando per rispondere a queste due vitali domande: «Esistono
regole che favoriscono la cooperazione? Esistono caratteristiche
individuali o di gruppo che facilitano la cooperazione?»
Di grande interesse è l'analisi di alcune situazioni che si
verificano in Paesi in via di sviluppo. La professoressa Bandiera
ci spiega perché.
«In questi luoghi c'è un'assenza di regole e istituzioni formali e
una maggiore importanza delle risorse comuni come foreste, pascoli,
risorse idriche rispetto ai Paesi industrializzati.»
E ancora «L'analisi della gestione delle risorse comuni dimostra
quindi che gli individui cooperano con successo quando esistono
regole e sanzioni chiare e condivise da tutti, quando i costi sono
proporzionali ai benefici, quando le azioni individuali possono
esser monitorate e soprattutto quando esiste un meccanismo per
dirimere eventuali controversie.»
Ma quali sono le caratteristiche del gruppo che favoriscono la
cooperazione?
«Analisi statistiche della gestione delle risorse comuni rivelano
che gruppi più eterogenei cooperano di meno e che al contrario
l'esistenza di relazioni interpersonali consolidate la favorisce
nettamente.»
Fin qui la teoria ma Oriana Bandiera passa poi a sottolineare il
punto dolente di questo filone scientifico e cioè che «gli studi
sul campo mostrano correlazioni, non relazioni causali. Ad esempio
il fatto che gruppi che cooperano con successo usino meccanismi di
monitoraggio non implica che questi meccanismi garantiscano la
cooperazione. Il problema - ha aggiunto - deriva dal fatto che
l'efficacia del monitoraggio potrebbe derivare da altre variabili
non osservate come ad esempio lo zelo dei controllori.»
Allora verrebbe da pensare: perché non affidarsi agli studi di
laboratorio?
«Purtroppo però non esiste la prova che gli individui si comportino
allo stesso modo in laboratorio e nel mondo reale. Tant'è vero che
una nuova metodologia di ricerca denominata 'esperimenti sul campo'
combina la realtà degli studi sul campo con la rigorosità degli
studi di laboratorio.»
Ed è proprio in questo nuovissimo, interessante, filone di ricerca
che la professoressa sta indirizzando i suoi sforzi
scientifici.
Infine è stato toccato il rapporto tra governo e cooperazione.
«Gli studi sul campo indicano che l'intervento del governo è
associato a risultati peggiori. Questo potrebbe essere però dovuto
al fatto che il governo interviene laddove precedentemente la
comunità ha fallito. Studi più recenti ispirano più ottimismo
invece sugli interventi del pubblico come dimostrano alcuni studi
specifici citati dalla professoressa Bandiera.»
Siracusana, trentaseienne è docente alla London School of
economics, nel 2007 ha ricevuto un importantissimo premio per
giovani ricercatori nell'economia del lavoro. La professoressa è
insomma venuta a parlare di cooperazione proprio in uno dei
territori in cui questa è nata ed ha proliferato fino al livello
dei giorni nostri.
«Noi ricercatori siamo un gruppo ridottissimo e chiuso. E' un
grande piacere potersi confrontare con un pubblico più vasto e con
voi studenti. Grazie al Festival di Trento quindi!»
E gli studenti hanno risposto all'appello gremendo i gradoni
dell'Aula rossa ad Economia e non lasciandosi sfuggire l'occasione
di «interrogare» la giovane ricercatrice.
Tra le domande, una delle più attinenti ha evidenziato i rischi che
la cooperazione - quando funziona - venga istituzionalizzata
perdendo quindi capacità d'innovazione.
«Ha ragione - ha replicato la Bandiera - Questo è uno dei rischi. A
tal proposito c'è uno studio interessantissimo sui mercanti
maghrebini del XII secolo che commerciavano solo con determinati
porti. Tutto funzionava alla perfezione. Con la scoperta
dell'America però, ed il conseguente aprirsi di nuove vie
commerciali, restarono fossilizzati sulle loro rotte lasciandosi
scappare completamente quel nuovo, floridissimo business.»
Un'altra domanda ha sottolineato come il «successo della
cooperazione dipenda soprattutto dalla disponibilità di
risorse».
«Non è facile rispondere a questa domanda - ha replicato la giovane
ricercatrice della London school of Economics - Sembra che quello
che più è determinante sia che i beni in questione abbiano
esternalità, e quindi un'influenza che va al di là, nel bene e nel
male, del loro mero utilizzo.»
La Bandiera ha concluso con un suggerimento rivolto soprattutto ai
protagonisti della mattinata, gli studenti:-
«Mi raccomando ragazzi quando studiate qualcosa in economia
chiedetevi sempre: come può quello che sto analizzando essere usato
per migliorare il mondo?»
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