Gilat Levy parla della «terra delle contaminazioni alla Frontiera»
Redistribuzione dei beni pubblici come indice di democrazia: «I poveri sono la maggioranza in tutte le società. E allora perché a governare sono sempre i ricchi?»
Gilat Levy, giovane economista nata
a Tel Aviv, oggi docente presso la London School of Economics e con
alle spalle un invidiabile curriculum di studi, ricerche e
pubblicazioni, è entrata subito nell'atmosfera del Festival
dell'Economia 2008.
«Mi è stato chiesto di spiegare concetti complessi con parole
semplici e che tutti possano comprendere: è questa la sfida di
questo bel Festival e io ci proverò!»
Con questa premessa, l'intervento di questa mattina di Gilat Levy
al Castello del Buonconsiglio, nell'ambito del ciclo d'incontri
denominati «Alla Frontiera», è servito a comprendere i meccanismi
economici e politici che stanno alla base della costruzione delle
società moderne intese come sistema di relazioni economiche,
politiche e di redistribuzione delle ricchezze.
«All'interno di ogni tipo di società - ha esordito Gilat Levy, dopo
la presentazione curata da Paola Villa, docente di economia del
lavoro presso l'Università di Trento - abbiamo differenziazioni che
nascono e si consolidano per livello di reddito, per età, per
appartenenza etnica o geografica, per religione... In modo
esemplificativo, queste differenziazioni danno origine a tre grandi
classi sociali: i "ricchi", che sono poi detentori del potere
economico; i "poveri portatori di interessi specifici", che è la
classe media, quella che ha comunque degli interessi (religiosi, ad
esempio, oppure etnici o geografici) da tutelare; e infine i
"poveri", la terza classe, quella che non ha particolari interessi
da difendere se non la propria sopravvivenza».
Che i «poveri portatori di interessi», aggiunti ai «poveri» tout
court, siano la maggioranza nella gran parte delle società oggi
esistenti, è sotto agli occhi di tutti.
«E allora perché, nella costruzione dei vari governi, i "ricchi"
hanno un'importanza predominante? - si è chiesta Gilat Levy. -
Perché i poveri, tra di loro uniti, sono la maggioranza, ma a
governare in fin dei conti sono sempre i ricchi, e cioè la
minoranza?»
Perché gli interessi dei "poveri" e quelli dei "poveri portatori di
richieste specifiche" quasi mai coincidono; perché i poveri sono
divisi e, quindi, ai ricchi è data la possibilità di rompere il
fronte dell'opposizione; perché è più facile che vadano tra di loro
d'accordo i "ricchi" e i "poveri portatori di interessi specifici",
piuttosto che i "poveri" nel loro insieme.
Ecco perché oggi assistiamo al prolificare di società democratiche
politicamente eterogenee, in cui gli interessi dei "ricchi" e dei
"poveri che difendono specifici ambiti sociali" producono
compromessi, "mezze vie", situazioni di welfare "morbide".
Gilat Levy, a supporto della sua analisi, ha portato ad esempio la
situazione dell'Indonesia.
«Una grande nazione in cui convivono situazioni di oligarchia, in
cui sono i ricchi a controllare la società; di democrazia
eterogenea (a livello etnico, religioso e geografico) e situazioni
di democrazia omogenea (villaggi che rappresentano interessi
univoci e generalizzati). Abbiamo testato quella situazione sociale
e siamo giunti ad alcune conclusioni. Analizzando e comparando tra
di loro esempi di democrazie omogenee e di democrazie eterogenee,
abbiamo verificato che nei villaggi in cui vige la democrazia
omogenea esiste anche più sanità e più istruzione, le rette
scolastiche sono più basse, il rapporto insegnante/allievi è più
alto, le necessità di sicurezza sono più basse, mentre per quel che
riguarda le infrastrutture non esistono differenze significative
con altre condizioni di vita. Nelle realtà invece di democrazia
eterogenea, dove le diversità etniche, religiose ed economiche sono
più marcate e in cui si assiste a un compromesso fra i "ricchi" e i
"poveri portatori di interessi specifici", abbiamo meno sanità e
meno istruzione, il rapporto tra i medici e gli abitanti è
inferiore, mentre bisogna allestire maggiori servizi per garantire
sicurezza alla comunità»
Che cosa significa tutto questo? Significa che i "ricchi"
beneficiano delle divisioni esistenti fra i ceti poveri; significa
che se i poveri trovassero l'armonia fra di loro, avremmo società
perfette per quel che riguarda l'erogazione dei servizi pubblici,
ma, ad esempio, con un indice di produttività inferiore; significa
che le coalizioni politiche nascono di preferenza fra i ceti ricchi
e quelli poveri che comunque hanno interessi specifici da
difendere, a discapito delle maggioranze povere ma senza interfessi
specifici da tutelare. Significa, anche, che società democratiche
caratterizzate dalla omogeneità sono in genere società piccole:
aumenta il grado di welfare, è vero, ma a causa della minore "massa
critica" aumentano anche i costi per assicurare un livello decente
di assistenza a tutti...
Ognuno, insomma, ha i propri interessi da difendere: i "ricchi"
vogliono pagare meno tasse che sia possibile e investire il minimo
indispensabile nel welfare; al contrario, i "poveri" vogliono
aumentare la tassazione sui redditi alti e garantirsi un livello di
assistenza pubblica molto alto. In mezzo c'è la "classe media", che
ha i propri interessi (economici, culturali, religiosi, etnici e
razziali) da tutelare. Il più delle volte capita che la "classe
media" si allei con quella "ricca", con la quale è più facile
trovare un compromesso, «ma la stabilità delle coalizioni - ha
saggiamente ricordato Gilat Levy, - dipende da interessi in
continuo divenire. Ciò che ci va bene oggi, non è detto che anche
domani possa essere riconfermato...»
Se poi volessimo rispondere alla domanda che sta alla base di tutto
questo Festival dell'Economia 2008, e cioè se le democrazie possono
influenzare le politiche economiche degli Stati, la riposta («Per
carità, semplicistica e forse riduttiva» ha ricordato la relatrice)
è conseguente a tutto quanto detto finora.
«La democrazia conta e riesce ad incidere positivamente nelle
società omogenee, ma non ha un grosso effetto in quelle eterogenee
e comunque non ha l'effetto che tutti noi ci aspetteremmo».
Perché? «Perché non basta dar voce ai poveri, per risolvere il
problema, visto che gli stessi poveri sono portatori di interessi
tra di loro contrastanti, e che i ricchi ci guadagnano da queste
divisioni nel fronte avverso»
È vero, i "poveri" potrebbero coalizzarsi con il ceto medio, ma
questa sarebbe una coalizione molto instabile, perché dipenderebbe
di volta in volta dagli interessi specifici di uno o
dell'altro...
E allora continueremo ancora per un bel po' a vivere in società
democratiche in cui i poveri sono la maggioranza, ma a governare
saranno sempre i "ricchi" alleati con i ceti che hanno interessi
specifici da difendere. Un buon metro di analisi per seguire e
cercar di capire anche molte scelte della nostra politica
nazionale.
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