«Viviamo in un Paese indifferente al malcostume»
Il giudice Davigo dialoga con il vicedirettore del Corsera Mucchetti su corruzione, giustizia e sviluppo economico
Da quella stagione di pulsioni ed
eventi repentini sono trascorsi più di tre lustri, ma per il grande
pubblico è rimasto uno dei simboli di Mani Pulite. Lui, al secolo
Piercamillo Davigo, è oggi uno stimato consigliere della Corte di
Cassazione, ma il pubblico del Festival dell'economia di Trento ha
affollato la sala del Castello del Buonconsiglio per ascoltare una
delle icone della stagione di Mani Pulite parlare di corruzione,
giustizia e sviluppo economico. E il tema non poteva essere altro,
considerata la frequenza con cui la cronaca riporta fatti e
misfatti di un'economia italica talvolta protagonista di
performance in negativo.
Davigo non ha deluso le attese, sollecitato anche dalle domande di
Massimo Mucchetti, vicedirettore ad personam del Corriere della
Sera e penna tra le più temute dall'establishment economico e
finanziario di casa nostra. Non a caso, nel 2005, qualcuno tentò di
penetrare nel suo pc della redazione, proprio mentre era in corso
un tentativo di scalata del quotidiano milanese, per capirne le
carte scomode in suo possesso.
Non ha deluso, dunque, Davigo, il «dottor Sottile» - così lo
chiamavano i colleghi del pool milanese, Antonio Di Pietro, Gerardo
D'Ambrosio, Francesco Saverio Borrelli, Francesco Greco e Gherardo
Colombo - per via della sua maestria a costruire l'architettura
giuridica del castello accusatorio che minò definitivamente una
Prima Repubblica già sulla via dell'implosione.
«L'Italia - osserva Davigo - si è ormai abituata a convivere con il
malcostume. Il paese funziona con regole diverse da quelle scritte
nelle leggi, i comportamenti sono diversi. Faccio un esempio:
abbiamo un sistema rigoroso che regola gli appalti, ma in realtà le
cose stanno diversamente. All'Anas avevano una stanza piena di
valigette e così ordinarono di portare i soldi delle tangenti in
buste, più facili da smaltire… Quando Craxi, con un discorso
durissimo, osservò che tutti avevano concorso al sistema delle
tangenti, maggioranza ed opposizione, nessuno si alzò per zittirlo.
Era purtroppo vero, maggioranza ed opposizione si spartivano i
soldi delle tangenti che non servivano affatto a finanziare i
partiti ma le loro articolazioni, le diverse correnti.»
E' cambiato poco, a sentire il magistrato, nel nostro paese dal
1992, quando scoppiò Mani Pulite, ad oggi: 16 anni costellati da
fatti gravi, quali ad esempio gli scandali finanziari.
Il «malcostume» è dunque un fatto quasi accettato nel nostro paese,
eccetto che nei periodi di crisi economica, «quando il malumore e
le preoccupazioni impediscono alle persone di sentirsi raccontare
delle bugie».
Secondo Davigo - che su questo ci ha scritto anche un libro - i
grandi scandali economici coincidono con i periodi di crisi:
scandalo petroli, manipulite.
«La corruzione emerge quando la torta non basta. Il patto illecito,
stretto tra due parti che non hanno interesse a farlo sapere, si
rompe quando una delle due parti è insoddisfatta e quindi litiga
con il 'socio'.»
Per combattere il malcostume sarebbe necessario un patto tra
politica e giustizia, ma questo non è possibile.
«I finanziamenti illeciti - ripete Davigo - non servono a
finanziare i costi assurdi della politica. Ancora oggi, la legge
elettorale non consente la reale selezione della classe politica
che è il presupposto per un patto tra politica e giustizia.
L'elezione di un parlamentare dipende dal posto occupato sulla
scheda elettorale, non dalla preferenza dell'elettore. Dentro il
partito vinci i congressi in base al numero di tessere. Il problema
è che un politico onesto deve conquistarsi tessera per tessera,
voto per voto; un farabutto trova più facile inventarsi i
tesserati. Secondo voi - chiede ironico Davigo - chi vince tra i
due? Io non ho dubbi, ma non possiamo più accettare che i partiti,
destinatari di ingenti finanziamenti pubblici, siano soggetti non
riconosciuti, liberi di aggiustare i bilanci. E' necessario
arrivare ad una regolamentazione giuridica dei partiti.»
Il vicedirettore del Corsera incalza Davigo, non troppo convinto
dell'accostamento tra successo delle indagini e crisi economica, e
fa notare che oggi, a differenza di qualche anno fa, è molto più
difficile arrivare ad una condanna e vedere le conseguenze
(concrete) determinate dall'azione giudiziaria.
«Ora non succede nulla - taglia corto Mucchetti - non si sa più
nulla sull'esito e gli sviluppi di grandi inchieste, con
l'eccezione delle scalate bancarie del 2005 che portarono alle
dimissioni del Governatore della Banca d'Italia e all'arresto dei
"furbetti del quartierino". Ma, credo, che molto fu possibile
grazie alla guerra in corso all'interno del sistema bancario…»
Con un fenomeno nuovo - a detta di Mucchetti - rispetto a qualche
anno fa: ovvero alla scomparsa della competizione tra i partiti. A
preoccupare i due relatori - ma questo è forse il dato in negativo
che più ricorre nelle diverse sessioni e nei diversi interventi di
questa 3ª edizione del Festival dell'Economia di Trento - è la
metamorfosi della finanza, sempre più globale, sempre più fuori
controllo da parte dell'Authority nazionale, sempre più dotata di
strumenti sofisticati, rimasta fedele solo all'obiettivo di
trasferire il rischio da chi si è assunto l'impegno ad altri
soggetti (piccoli investitori).
Al tempo dei bond Cirio e Parmalat - osserva a questo proposito
Mucchetti - è stato facile capire l'illecito che si celava dietro
alla cartolarizzazione dei mutui, anche a nessuno ha mai spiegato
il motivo per il quale coloro che avrebbero dovuto controllare e
verificare i bilanci non l'abbiano fatto. Mi chiedo se dietro a
queste nuove forme di finanza spregiudicata, i cui rischi sono da
tempo denunciati, non sia individuabile un profilo penale.»
«L'azione penale esiste - ribatte Davigo - nonostante che l'Italia
non abbia ancora ratificato la direttiva europea che introduce la
corruzione privata. Oggi, il direttore dell'ufficio acquisti di una
grande azienda che incassa delle tangenti per ammettere dei
fornitori, rischia al massimo una causa civile dalla stessa
azienda.»
Ma è sull'inadeguatezza degli Stati nazionali ad affrontare la
materia che Davigo insiste.
«In Italia abbiamo declassato il reato del falso in bilancio che
resiste solo se sono i soci a subire il danno. Ebbene tutti noi
sappiamo che in molti casi sono gli stessi soci a commettere questo
tipo di reato… In America hanno trovato una soluzione, facendo
giurare l'amministratore delegato in tribunale circa l'autenticità
del bilancio. Il risultato? Molti gruppi internazionali hanno
preferito abbandonare la borsa di New York.»
Per non parlare dei paradisi fiscali dove «le resistenze e i
vincoli non esistono per i ladri ma per le guardie».
«Io ho dovuto lavorare - ricorda Davigo, facendo sorridere il
pubblico - due anni per una rogatoria su Hong Kong. Ad un certo
punto hanno tentato pure di negare l'esistenza della banca, una
delle più grandi del paese, per poi sentirmi dire che non mi era
concesso sapere il destinatario di una tangente. Due anni per
un'operazione da banca a banca, che aumentano in modo esponenziale
se quella tangente, prima di venire ritirata, rimbalza tra diverse
banche di diversi paradisi fiscali sparsi in giro per il mondo.
Insomma, non possiamo più attendere 20 anni per ricostruire il giro
compiuto in un giorno da una tangente: tutto ciò è incompatibile
anche con la vita umana. Uno fa in tempo a morire prima di essere
scoperto.»
Davvero amaro questo dialogo.
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