Economisti in attesa di giudizio
Oggi il primo processo alla crisi, la grande novità del Festival
Quasi due ore di acceso e
documentato dibattito, ma le posizioni restano distanti.
L'accusa chiede «sette anni di carcere», la difesa l'assoluzione
«perché il fatto non sussiste»: al massimo «una multa o una tirata
d'orecchi…».
La giuria popolare riunita per decidere
Gli economisti: colpevoli o innocenti? Lo sapremo domani, a
mezzogiorno, prima dell'avvio del secondo processo istruito al
Festival dell'economia: forse la novità più attesa di questa quarta
edizione. Formula indubbiamente accattivante, che chiama sul banco
degli imputati, accanto agli economisti - che rischiano grosso:
l'accusa ha «simbolicamente» chiesto sette anni di carcere anche le
istituzioni e il mondo della finanza.
Quasi due ore per il primo processo, presieduto da Massimo Gaggi,
inviato del Corriere della Sera e con Roberto Perotti (docente
Bocconi, prima Mit e Columbia University) nelle vesti di accusatore
e Luigi Guiso (università europea Firenze, prima Servizio studi
Banca d'Italia) in quelle di difensore.
Come in tutti i processi che si rispettino, si comincia appunto
dalla sentenza: La folta giuria popolare (universitari per la gran
parte, e non solo delle facoltà economiche, come scriveremo in un
comunicato a parte) dibatterà l'intero pomeriggio per arrivare ad
una decisione. L'accusa ha chiesto sette anni, a fronte di una
constatazione che rimanda ai problemi della giustizia, oltre che a
quelli dell'economia.
Così, per l'accusa, Roberto Perotti.
«Per non aver saputo prevedere la crisi e, peggio, per essere stati
persino all'oscuro dei meccanismi che regolavano i mercati
finanziari, chiedo sette anni di carcere per gli economisti. Questo
perché in Italia se la condanna è al disotto dei cinque anni non si
va neanche in galera ed almeno un anno al fresco se lo meritano. So
che qualcuno mi accusa di fornire pane per i denti di Tremonti
nelle sue accuse agli economisti. Io non voglio fare come Sartre
che negli anni Quaranta, pur conoscendo i macelli che Stalin
operava contro gli operai sovietici, taceva sostenendo che
altrimenti gli operai comunisti della Renault, in Francia, si
sarebbero demoralizzati.»
Più articolata la richiesta della difesa che ha usato anche - a
differenza dell'accusa, che ha rinunciato a questa possibilità -
due testimoni a suo favore: Nicola Persico (università di New York,
decine di pubblicazioni all'attivo, così come gli altri
protagonisti del processo) e Nouriel Roubini, economista di fama
mondiale, intervenuto in video (e la cui preziosa testimonianza,
peraltro, è parsa a tratti pesare più a favore dell'accusa che non
della difesa).
Ebbene, Guiso ha così risposto.
«Per l'accusa di non avere previsto lo shock economico e
finanziario della crisi, chiedo l'assoluzione perché il fatto non
sussiste. Quanto all'accusa che i macroeconomisti non abbiano
capito gli elementi fondamentali della crisi, il che è vero in
parte, chiedo una multa simbolica, uno scappellotto serio ed una
altrettanto seria tirata d'orecchi. Infine, non c'è reato per una
scienza, quella economica che non è perfetta, rispetto a quel che è
successo. Semmai, un richiamo ad una maggiore concorrenza di idee
all'interno della disciplina.»
Ovviamente, prima delle arringhe finali, serrato il dibattito ed
apparentemente inconciliabili le due posizioni.
Il presidente, Gaggi, ha ammonito: «Quello della ricerca dei
colpevoli è un rito necessario quanto pericoloso. Negli States sono
andati persi cinque milioni di posti di lavoro in pochi mesi, è
giusto chiedersi di chi è la colpa. Sapendo che i processi servono
anche a capire cosa è successo e, soprattutto, ad evitare che
possano riproporsi simili scenari.»
Lungo e dettagliato l'atto di accusa di Perotti.
Tra l'altro, ha detto: «Più della ovvia critica che gli economisti
non abbiano saputo prevedere la crisi, e qui faccio autocritica e
mi ci metto anch'io, mi preoccupa una critica ben più seria: non
hanno saputo capire le conseguenze dello shock. Si badi: non credo
che tutti gli economisti vivano in una torre d'avorio, molti di
loro sanno anche sporcarsi le mani per capire e molti avevano
studiato le deviazioni e le storture del mercato. Ma non basta aver
attaccato la globalizzazione per poter dire che in questo c'era la
previsione della crisi, sia chiaro.
«La vera accusa è questa: non hanno capito la crisi perché erano
all'oscuro degli sviluppi del mercato del credito, non conoscevano,
erano ignoranti. Tutto si è giocato sui bassi tassi di interesse e
non hanno compreso l'enorme sviluppo del mercato del credito. Non
hanno capito nulla degli intermediari finanziari, degli hedge
funds, del ruolo delle assicurazioni, di un management
spaventosamente all'oscuro dei rischi macroeconomici cui esponevano
le banche, di controllori che non sapevano cosa fossero i mutui.
Oggi c'è un problema di immagine per gli economisti, certo. Sono
antipatici a moltissimi, ma si voltino indietro e riconoscano di
avere sbagliato. Sarebbe già buona cosa.»
Articolata in più punti la difesa di Guiso.
«Perché non diciamo che c'è anche del "non senso" nelle accuse
rivolte agli economisti? Non potevano certo prevedere quello che
non potevano prevedere. I tempi della crisi non erano alla loro
portata, l'economia è una scienza imperfetta. E dunque hanno semmai
previsto quel che era prevedibile. E non dimentichiamo che alcuni
di loro già nel 2004 avevano saputo indicare le avvisaglie del
crollo, con grande lucidità. Semmai c'è un'altra questione: molti
sapevano, ma non scrivevano.»
E Guiso, a sua volta poi supportato da Persico, ha citato due nomi,
su tutti, di economisti che avevano delineato scenari assai foschi.
Raghuram Rajan, capo economista del Fondo monetario internazionale
e Robert Shiller dell'università di Yale.
«Lucida preveggenza la loro - è stato detto - se si pensa che
parlarono di liquidità e illiquidità e che avvertirono sulla
necessità di una politica dei tassi bassi che necessitava di
controlli e vigilanza. Questo nel 2006…»
Infine, a fianco della difesa, Nicola Persico. Che ha chiesto: «Ma
in presenza di una epidemia di colera, dareste la colpa a tutti i
medici? Anche ai dentisti, anche agli ortopedici? E poi, accanto ai
nomi già citati da Guiso, io aggiungo Mario Draghi che nel 2006
sottolineava i rischi connessi alle politiche macroeconomiche».
Non solo. Persico ha spostato il tiro, facendo intravvedere la
possibilità di un quarto processo (nella prossima edizione?) ad una
ulteriore categoria, dopo quella degli economisti, dei controllori
e dei politici e della finanza: i giornalisti. Perché sono troppo
pochi quelli che hanno la laurea in economia.
«Voi mi dite, perché la gente non sapeva? Non sapevamo niente?
Dipende da chi ascoltiamo.»
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