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Jean-Paul Fitoussi e la nuova ecologia politica

«Quando sbarcare il lunario si trasforma in una vera e propria impresa, il fare progetti diventa pura utopia»

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Quello che si è fatto negli ultimi due secoli è un progresso enorme. Più o meno metà della popolazione mondiale, circa tre miliardi di individui, può definirsi abbastanza ricca. Per un miliardo di essa però la vita non è così facile. Tutt'altro. La povertà esiste, anche se spesso facciamo finta di non vederla.

La crisi odierna del capitalismo, è un dato di fatto, sta scuotendo non solo le istituzioni finanziarie internazionali ed i bilanci pubblici di quasi tutti gli stati, ma gli stessi paradigmi dominanti nel campo delle scienze economiche. Lamentarsi, piangersi addosso non serve.
Quello che serve è ripensare le possibilità stesse di un nuovo sviluppo. Avere il coraggio e la volontà di rimettere in discussione premesse che apparivano fino ad ora scontate.
Una via d'uscita potrebbe essere quella tracciata da Jean Paul Fitoussi, presidente dell'Osservatorio Francese per la congiuntura economica, e dall'economista Eloi Laurent in «La nuova ecologia politica. Economia e sviluppo umano».
 
Nel libro, edito da Feltrinelli, i due studiosi suggeriscono il bisogno di un nuovo paradigma fondato su un'idea di economia aperta. Un'economia consapevole del suo contesto ambientale, sociale e politico.
«Non è infatti la teoria economica in se stessa la colpevole dei mali attuali bensì la sua definizione ristretta come scienza di processi autonomi. La crisi finanziaria mondiale, ma anche quella energetica ed alimentare - afferma Fitoussi - ci riporta viceversa al rapporto essenziale che deve esistere tra la ripartizione dei mezzi di sussistenza e la ripartizione del diritto a sussistere, tra ecologia, democrazia e giustizia sociale.»

Un nuovo sviluppo in sostanza potrà essere sostenibile solo se sarà democratico, nel senso che saprà assicurare a ognuno il diritto di esistere. In altre parole: l'unica decrescita davvero importante è la decrescita delle disuguaglianze.
Quando in una comunità c'è troppa differenza di reddito la democrazia, secondo l'autore del volume, non è un sistema sostenibile. Questo, precisa Jean Paul Fitoussi, non significa però che sia auspicabile un ritorno al totalitarismo. Facendo due conti se il PIL mondiale venisse diviso in parti uguali il reddito pro-capite dell'umanità sarebbe infatti pari a 400 euro. Risultato: saremmo ugualmente poveri.

Dobbiamo credere nel progresso, affidarci ad esso. Far sì che i cosiddetti Paesi ricchi creino un fondo tecnologico e mettano, gratuitamente, i risultati a disposizione degli Stati emergenti.
L'ostacolo che dobbiamo affrontare, incalza poi il professore di economia all'istituto di studi politici di Parigi, è di natura intellettuale.
«C'è poco da fare: quando la realtà non è conforme a quanto gli economisti avevano previsto la colpa non è loro. E' sempre e solo della realtà che si è sbagliata.»
Bisogna fare un bagno di umiltà e abituarsi ad ascoltare anche le voci che non sono d'accordo con le nostre.

Chiamati a discutere il libro «La nuova ecologia politica. Economia e sviluppo umano», Massimo Egidi, rettore dell'Università Luiss, concorde sul fatto che lo stato di salute di uno stato non debba essere misurato esclusivamente tramite il PIL e l'onorevole Enrico Letta.
«Con le sue tre parole cardine: democrazia, ineguaglianza, demografia - commenta Letta, - responsabile welfare del Partito Democratico, Fitoussi ha puntato l'attenzione sulla green economy ben prima del presidente Obama. Allo stato dell'arte risulta fondamentale trovare una nuovo concezione dell'ecologia nella politica.»

Sul fronte Italia, Enrico Letta snocciola dati che non possono lasciare indifferenti. Lo Stivale è al terzo posto in Europa sul fronte di ineguaglianza. Peggio di noi solo Gran Bretagna e Usa.
«Ma loro - sottolinea Letta - almeno hanno l'ascensore sociale.»
E ancora: «L'Italia ha il peggior tasso d'occupazione femminile e anche sul fronte natalità non siamo messi molto meglio. Il sistema Paese va cambiato. Prima che sia troppo tardi.»

Per quanto riguarda il vecchio continente Letta non ha dubbi.
«La crisi economica ha fatto, su tutti, una vittima: la Commissione Europea. Ha rotto l'equilibrio frutto di anni di duro lavoro. Si è tornati indietro al tempo dei 9, a quando era un mero organo esecutore della volontà dei governi nazionali.»

Rilanciamo l'Europa comunitaria, invita Enrico Letta. Perché questa è l'unica speranza per un futuro migliore.

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