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Il giornalismo di domani tra qualità e targettizzazione

«C’è e ci sarà sempre bisogno dell’informazione di qualità fatta nei media tradizionali. Però…»

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Per sopravvivere, però, giornali, radio e tv dovranno capire come sfruttare le piattaforme digitali. Sabato nell’auditorium del Dipartimento di Lettere, sono stati coinvolti Gerardo Greco, direttore del Giornaleradio Rai e di Radio1, Vittorio Meloni, professionista della comunicazione con esperienze in Olivetti, Alfa Romeo e Telecom Italia, Michele Polo, docente di Economia politica alla Bocconi e Giuseppe Smorto, vicedirettore di «La Repubblica».
Il moderatore Massimo Gaggi, firma del Corriere della Sera, ha stimolato i relatori sulle prospettive del giornalismo, sottolineando il ruolo dirompente dei giganti del web.
«I media tradizionali sono stati messi in crisi da quelli digitali che sono diventati collettori dei flussi informativi senza avere specifica responsabilità sui contenuti pubblicati, – ha contestualizzato Gaggi. – Inoltre, nel passaggio da carta a digitale, si è pensato che anche la pubblicità sarebbe migrata, mentre la torta è stata mangiata da Google e Facebook.»
 
Michele Polo si è concentrato sull’analisi del peso relativo di vecchi e nuovi media e su quali contribuiscano maggiormente alla formazione dell’opinione pubblica.
«La fotografia del momento è che la tv è il mezzo prevalente nel diffondere informazioni. Di fatto i gruppi editoriali con power index sono pochi: negli Usa c’è News Corp con Fox, mentre il New York Times non influisce molto sull’esito elettorale.»
Inoltre, ha fatto notare lo studioso, c’è una chiara correlazione tra disuguaglianza di reddito e disuguaglianza informativa.
«Una quota di elettorato viene raggiunta da pochi media e quindi è più facilmente manipolabile.»


 
Vittorio Meloni ha affermato che la crisi dei sistemi informativi e delle audience è conclamata.
«Nel 2007, anno di inizio della crisi, c’erano 7 emittenti nazionali, ora sono 200. Si sono polverizzate.
«Numericamente parlando, però, davanti alla tv ci sono sempre le stesse teste; il punto è che l’audience tra i 18 e i 40 è scesa sotto il 30%. Per questo sullo schermo si vedono così pochi pannolini.
«I dati sulla carta stampata sono ancora più preoccupanti: meno 53% di lettori negli ultimi 50 anni e pubblicità crollata del 60%.
«La sfida è sfruttare le nuove piattaforme digitali perché il prodotto più cercato della rete è ancora l’informazione.»
 
«C’è una questione di democrazia dietro a tutta questa storia, – ha precisato Giuseppe Smorto. – Il primo aspetto è che, nonostante gli errori degli editori del passato, il giornalismo non è gratis.
«Inoltre il suo ruolo è insostituibile: i responsabili dell’area news di Facebook e Google, invece, sono ingegneri o esperti di marketing. La loro missione è fare traffico. Non è la stessa cosa.»
Ieri, ha aggiunto, Repubblica.it ha fatto 6 milioni di lettori: non sono pochi, ma hanno usufruito per lo più di contenuti gratuiti.
«La battaglia è sull’informazione di qualità. Per quella ci sarà sempre domanda.»
Gerardo Greco ha testimoniato che il 55% dell’opinione pubblica apprende le notizie ogni mattina dagli algoritmi.
«Siamo lettori incasellati. Aumenta l’appartenenza tribale e facciamo fatica a confrontarci con le opinioni contrarie alle nostre.»
Il futuro, quindi, è on demand: tra cinque anni i media generalisti raggiungeranno i lettori con informazioni confortevoli, targettizzandoli.

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