Lavoro? A rischio quelli ripetitivi e a basse competenze
«L’intelligenza artificiale non ci rimpiazzerà nelle occupazioni in cui servono alte competenze intellettuali, ma nei lavori ripetitivi»
L’occupazione in Italia è ai livelli più alti dal dopoguerra in poi. A rivelarlo è lo studio di Stefano Scarpetta, Direttore per l’occupazione, il lavoro e gli affari sociali presso l’OCSE, presentato questo pomeriggio al Festival dell’Economia.
Se 20 anni fa i lavoratori erano tra i 15 e i 64 anni erano circa il 52%, attualmente sono circa il 58%.
Il problema, però, è che c’è un bisogno enorme di investire nelle competenze digitali, oltre il 50% dei lavoratori non ha competenze digitali.
«L’intelligenza artificiale – ha spiegato Scarpetta – non ci rimpiazzerà nelle occupazioni in cui servono alte competenze intellettuali, ma nei lavori ripetitivi.
«Durante un periodo di rivoluzione tecnologica si manifesta spesso un disavanzo tra tecnologia e istruzione che crea sicuramente ansia e sul quale bisogna agire.»
L’incontro «Chi ha paura dell’intelligenza artificiale?» moderato dal giornalista Enrico Franco, ha messo in relazione i cambiamenti tecnologici odierni con il mondo del lavoro.
Per farlo, il dottor Scarpetta è partito da diverse costatazioni, come il fatto che la popolazione sta invecchiando con cambiamenti rilevanti in termini di popolazione in età lavorativa stimati da qui al 2050.
L’Italia diminuirà la sua popolazione in età lavorativa di circa il 23% a differenza di Australia e Stati Uniti che vedranno un aumento pari al 26% per l’Australia e il 10% per gli Stati Uniti.
Assieme all’Italia anche la Germania vedrà un decremento del 23% e il Giappone del 28%.
«Questo significa – ha spiegato Scarpetta – che coloro che lavoreranno dovranno sostenere tutti coloro che ormai non saranno più in età lavorativa.»
In Italia, circa il 30% de lavoratori svolgono lavori in cui le loro attività produttive sono interconnesse con quelle di altri paesi.
Ed è in questo quadro che, come ha illustrato Scarpetta, si deve poi aggiungere «un disavanzo di produttività sempre più netto tra le imprese più redditizie a livello globale e le altre.
«Ciò significa che c’è un grande disavanzo tra quel 10% di imprese redditizie e le restati altre 90% e questo fa sì che coloro che hanno saputo investire in nuove tecnologie hanno poi goduto di una forte crescita.»
Sul piano delle competenze richieste nel mondo del lavoro, tutto ciò si traduce nella scomparsa della richiesta di lavori in cui sono richieste competenze intermedie.
«In tutti i paesi del G7 – ha evidenziato Scarpetta – c’è stata una crescita dei lavori in cui venivano richieste competenze alte e una forte riduzione di lavori in cui venivano richieste competenze intermedie, vale a dire lavori che potevano essere rimpiazzati dalle macchine.»
E la tecnologia? Come inciderà a livello globale?
«In termini di robot – ha proseguito Scarpetta – nei processi produttivi si prevede un forte incremento: da 83.000 robot presenti globalmente nel 2003 a 500.000 stimati nel 2020.
«Ora, se tutto ciò che può essere fatto dalle macchine verrà realmente svolto dalle macchine si stima una diminuzione di posti di lavoro del 14%.»
I lavoratori più a rischio, però, non sono quelli che hanno competenze intermedie, ma quelli a basse competenze nel settore dei servizi, manifattura e agricoltura. I lavoratori più a rischio sono dunque quelli che svolgono attività che possono essere automatizzate e in cui sono richieste basse competenze.
«È fondamentale – ha concluso Scarpetta – investire in formazione del personale ed eliminare il disavanzo tra tecnologia e istruzione.»
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