«Un incontro» – Racconto di Marco Pontoni
Una moderna storia d'amore, in un'antica città, Lisbona Marco Pontoni è giornalista, autore tra le altre cose del romanzo «Music Box»
Lisbona, Museo Nacional de Arte
Antiga. Nonostante sia solo giugno, la città sembra sul punto di
sciogliersi, battuta da un sole implacabile. Il museo non è molto
appariscente. Trova un po' incongruo che proprio lì tengano
un'opera così famosa, Hieronymus Bosch, «Trittico delle
tentazioni».
Andrea finora si è annoiato, ma la vista di quel campionario di
incubi gli ha ridato la carica. Andrea ha 12 anni. Fra un po'
andranno all'acquario, Enrico chiamerà un taxi perché non vuole
aspettare un autobus per strada, avvolto da quel calore
d'altoforno.
È in quel momento che la vede. Sbuca da dietro a un angolo, i musei
sono angoli bianchi e corridoi, estintori alle pareti.
Un vestito rosso, fresco cotone stampato plissettato. Braccia
bianche. Il viso reso attento dagli occhiali. Il collo lungo,
sottile.
Istintivamente Enrico drizza le spalle, tira in dentro la pancia.
Un po' infastidito e un po' divertito da questi riflessi
automatici, da tanta prevedibilità. Una volta non se ne accorgeva.
Ora sì, ora ha imparato a osservarsi e a ridere di sé.
La sconosciuta si ferma davanti a Bosch. Per un attimo lei e suo
figlio sono affiancati. Tiene una rivista stretta al petto. Forse
una rivista d'arte, pensa Enrico, immaginando per un istante che
quella ragazza di forse 25 anni sia la madre di suo figlio, ma no,
i conti non tornerebbero, sua moglie, la sua ex-moglie, ne ha
compiuti quaranta la settimana scorsa, avevano fatto le elementari
assieme, ora lui le versa gli alimenti, chi l'avrebbe detto?
È proprio Andrea a sbloccare la situazione. Si volta di scatto,
dice ad alta voce «Adesso andiamo all'acquario?»
Anche la sconosciuta si gira, lo mette a fuoco. Enrico crede di
capire il motivo del suo interesse: è un'italiana, ha sentito la
sua lingua. Ed è sola.
Vorrebbe dire qualcosa ma lei lo anticipa.
«Scusate. Forse potete aiutarmi?^
Certo, perché no. Si avvicina. La sconosciuta ha già aperto la
cartina, c'è che pensava di andare proprio lì, all'acquario, ma non
sa come arrivarci. Guardano assieme il reticolo delle strade, le
teste vicine, Enrico sente profumo di fresco il che gli sembra un
miracolo in una giornata così.
«Noi avevamo già deciso di prendere il taxi. Se vuoi venire con
noi…»
È passato al «tu», non vede perché no, lei tentenna, poi
acconsente.
«Grazie. Così dividiamo.»
Segue la schermaglia dei convenevoli, quel mare che Enrico vorrebbe
sempre scavalcare con un salto quando incontra una persona
nuova.
Si chiama Elisabetta, ha approfittato di un'offerta speciale, volo
più due notti, last minute, prezzo stracciatissimo. Indovina la sua
regione di origine dall'accento, «siamo quasi cugini…».
Non le chiede perché viaggia da sola, le sembrerebbe troppo
indiscreto anche se lei parla, non è una silenziosa, si lascia
chiacchierare, si racconta, laureata da poco, stages, viaggi,
l'intero bagaglio rutilante delle opportunità che Enrico ai tempi
suoi aveva appena assaggiato. Andrea è seduto davanti e si gode la
corsa lungo il Tago.
L'acquario è una fantasmagoria di acqua e pesci, a lui sembra
impossibile tenere a mente i nomi, gode dello sguardo d'insieme.
Ogni tanto Elisabetta si allontana, ma poi ritorna, li aspetta. Fa
un commento buffo che fa ridere Andrea, su un pesce timido nascosto
dietro a un sasso. Il suo collo sfocia su uno splendido décolleté,
abbagliante nella sua nudità. Enrico ha sempre amato quella parte
del corpo femminile, non sa che fare, cosa dire.
All'uscita si accordano con naturalezza per cenare assieme. Lei
dorme in un albergo della Baixa, la città neoclassica ricostruita
dopo il terremoto del 1755, scacchiera regolare di case e strade,
solitaria, la sera, quando i turisti si sono spostati altrove. Loro
invece sono scesi in un hotel moderno, verso l'aeroporto. Decidono
di incontrarsi in Praca de Figueira, e poi di salire al Barrio
Alto.
Mentre si prepara Enrico cerca di capire che cosa ne pensi Andrea.
Non gli sembra dispiaciuto per quell'incontro. Hanno già viaggiato
assieme, ormai dalla separazione sono passati quattro anni.
Infatti, riepiloga, sono quattro i viaggi fatti con il figlio:
Sicilia, Toscana, ancora Toscana e ora Portogallo. Di anno in anno
Andrea è cresciuto, si è fatto più presente, più deciso nelle
proposte. Ma anche inaspettatamente svagato, in questa occasione,
come se una parte di lui stesse pensando ad altro, o fosse in
ascolto del misterioso subbuglio del suo corpo che cambia.
Non gli hai mai fatto scene di gelosia. Va bene così, un bambino
maturo, concentrato. E comunque, la possibilità che succeda
qualcosa fra suo padre e quella ragazza probabilmente è un'idea che
non lo sfiora nemmeno. Forse, immagina Enrico, lui la utilizzerà
per qualche sua fantasia segreta, dopotutto è così che succede, no?
È come scegliere un film da un catalogo. Un gesto, un volto, un
vestito, la pienezza del seno, la curva dei fianchi. Scegliere
l'immagine più conturbante, il dettaglio, farsi guidare dal ricordo
verso il centro del piacere.
Ecco, ora sono pronti. Andrea si è spettinato ad arte. In quanto a
Enrico, i capelli ormai radi non gli consentono grandi scelte.
La cena è un intermezzo musicale. Fado, le melodie malinconiche dei
marinai che scivolano fuori dai locali, si mescolano agli odori
della città, si spandono sul fiume. Eccola, Lisbona, dal Miradouro.
Sdraiata sotto di loro, per poi risalire dall'altra, sulla collina
gemella dell'Alfama, la sciabolata di cemento e cavi d'acciaio del
ponte, a est, le barche alla fonda. Il cellulare di Elisabetta
squilla due volte. La prima si allontana e rimane a lungo a
parlare. La seconda lo spegne.
Alla fine ridiscendono verso il Rossio. C'è un momento di
imbarazzo, come un rimpianto che guizza fra l'uomo e la donna, il
bambino un testimone muto. Enrico si aggrappa a quel filo,
dimentico della situazione, della differenza d'età, le chiede di
accompagnarli, possono bere ancora una cosa al bar dell'hotel, poi
la rimanderà indietro col taxi. Si guardano. Stanno per mettersi a
ridere. Un'allegria senza un esplicito perché.
All'arrivo Andrea li saluta. Sale in camera. Enrico gli consegna le
chiavi, gli dice di lasciare aperto. È stato molto educato. In
qualche momento simpatico, ha detto quella cosa, su Bosch, com'era?
Lei glielo ricorda, mentre sorseggiano un Porto, il vino li scalda,
è un calore diverso rispetto all'afa del giorno, si diffonde nella
pancia, buon calore confidenziale di una conoscenza fortuita, di
qualcosa che non si è cercato o pagato, qualcosa che è arrivato
gratis.
Sono soli, ora, nella hall. Le luci basse. I rumori attutiti dalla
moquette. Lei ha un piccolo anello, ad un dito, solo uno. Splendidi
capelli lucenti.
Le chiede come mai sola, ora sì, non può più aspettare. La voce di
Elisabetta ha un registro più basso, quando risponde. Roco,
allusivo. Una vicenda di delusioni, inganni e un professore
associato. Desiderio di ricominciare. Enrico conosce quegli
ingredienti. Il loro prodotto è sempre lo stesso, è una domanda,
sottaciuta: «Ne varrà la pena?»
Le prende la mano. Dice che sa leggerla. Le linee sul palmo, gli
incroci pericolosi. Elisabetta non la ritira. Distoglie lo sguardo,
fuori dalla grande vetrata la strada è deserta, l'insegna luminosa
di un'agenzia di viaggi, lui pensa si stia chiedendo «Perché
proprio a me?».
E' quasi un anno che non fa l'amore. Un tempo gli sarebbe sembrato
impossibile. Un anno. Lavoro, accompagnare il figlio in palestra,
andare assieme al cinema. Diverse uscite senza conseguenze con
amici e amiche. Jazz.
Insomma, bisogna concludere questo patto, oppure saldare il conto e
salutarsi. Le stringe la mano più forte. Lei ricambia la
stretta.
Spiega al portiere che vuole una camera, lasciando Elisabetta in
disparte, è il momento maschile della faccenda. Non ha mai fatto
una cosa del genere, prima. Non sa che mancia lasciare, che
espressione fare. Il portiere risponde impassibile che sono rimaste
solo le più costose. Paga con carta di credito.
«Una notte?^
«Certo, idiota», commenta mentalmente. In realtà un paio d'ore
appena. Si sente già abbastanza in colpa così, pensando ad Andrea
che si sveglia nel cuore della notte e non lo trova.
In ascensore si misurano. Un bacio a fior di labbra per accorciare
la distanza, di cui sono consapevoli. Percorrono il corridoio
pensando entrambi di essere qualcun altro. La camera è spaziosa,
elegante, fiori su un tavolino. Enrico l'abbraccia da dietro, la
stringe. Mani eccitate non incontrano resistenza. È intenso, breve,
intimo, violento, dolce. Una vertigine che è già memoria, nel
momento stesso in cui si è consumata.
Quando sono ridiscesi le ha chiamato un taxi. Vorrebbe salire anche
Enrico, gli sembra giusto almeno fare il gesto di accompagnarla.
Lei scuote la testa, lo convince a tornare da suo figlio. Lo ha
sempre sorpreso questo fatto, che dopo, se non si fa attenzione ai
dettagli, ad una elettricità che ancora permane nell'aria, una
luminosità della pelle, anche al buio, niente sembra realmente
successo. Tutto ha l'apparenza di prima, come sempre.
Entra nella sua stanza, in punta di piedi, come un bandito. Sente
il respiro di Andrea che dorme nel letto gemello. Si lava, si
guarda allo specchio, non ha sonno, il suo corpo in festa gode
delle sensazioni lasciategli dalle carezze, la sua mente divora lo
spazio, galoppa.
Si chiede se quello che ha vissuto è già successo e la risposta è
sì, è già successo, ovviamente. Dunque può succedere ancora, più e
più volte. Un pensiero stupendo.
Ha un nuovo numero di telefono, un indirizzo in una città non
troppo lontana da quella in cui vive lui. Quante possibilità
inesplorate.
Non vuole essere precipitoso. Ma al tempo stesso vorrebbe
precipitare ancora. Precipitare almeno una volta ancora.
Marco Pontoni
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