Appunti di viaggio. Quella visita dal nostro agente al Cairo
Un'avventura sul filo dell'imbarco: mission possible
Il successo riscontrato alla
pubblicazione di un primo resoconto di viaggio fatto nel lontano
1966 per andare a vedere lo sconcio del Muro di Berlino
(vedi)
ci ha spinto a pubblicarne altri. Questo riguarda una singolare
avventura avvenuta in condizioni particolari, secondo noi difficile
da ripetere.
Con l'occasione, invitiamo i nsotri lettori a inviarci delle loro
avventure di viaggio. Purché ci sia sempre qualcosa di particolare
da raccontare, le pubblicheremo volentieri.
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Le foto pubblicate in questo servizio sono state fatte
dall'autore del viaggio (nella foto piccola).
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La prima volta che mi recai in visita al nostro agente in Egitto,
trovai fuori del portellone dell'aereo una bellissima hostess in
minigonna rossa, pelle di colore ambrato, capelli neri e labbra
rosse, con un cartello in mano riportante una scritta stampata:
«Mr. De Mozzi, follow me».
L'avevo seguita con orgoglio, facendo schiattare d'invidia i
colleghi di volo, percorrendo con lei il «percorso Vip» che
consente di non perdere neppure un minuto per le formalità doganali
e per il ritiro bagagli.
Ero l'amministratore delegato di un'azienda trentina che produce
dispositivi elettronici, il Managing Director, cioè capo della
gestione, e tanto bastava per attivare la giusta accoglienza.
Fu per questo che la volta successiva, quando mi feci accompagnare
dal direttore dell'azienda, decisi di portare con le ma macchina
fotografica. Quella bella ragazza araba che mi invitava a seguirla
meritava di finire nel mio album fotografico personale.
Ma stavolta trovai ad attendermi un bellissimo omaccione con i
baffetti da sparviero, con lo stesso cartello: «Follow me».
«Ahhh… - Esclamai al mio direttore, che se la stava ridendo sotto i
baffi. - Mi hanno fregato…!»
Misi via la camera e seguimmo lo steward. Perdemmo lo stesso
pochissimi minuti, ma non raccolsi le lusinghe dell'omaccione che
si faceva in quattro per rendere piacevole il nostro essere
importanti.
Anche stavolta venimmo scortati per tutto il soggiorno dalla
polizia turistica egiziana, quella che porta le ghette rosse,
perché per gli Egiziani il turismo rappresenta la seconda risorsa
nazionale dopo il petrolio. E il nostro agente, un ex generale
dell'esercito, ci prese in consegna all'aeroporto e non ci avrebbe
più mollato fino al ritorno all'aeroporto.
Il programma era intenso. Una visita ad un giacimento petrolifero,
la visita di una raffineria, una presentazione operativa del
funzionamento dei nostri dispositivi ai petrolieri arabi. Tra un
impegno e l'altro, un paio di cene a base di splendido pesce del
Mar Rosso (rigorosamente senza vino bianco, un delitto), uno
spettacolo di danza del ventre, una trattativa d'affari a pranzo su
un'imbarcazione in navigazione sul Nilo.
La tecnologia proposta era un dispositivo da installare sui punti
critici dei pozzi di petrolio e della raffineria, in grado di
inviare costantemente stringhe di dati provenienti dai sensori di
allarme, come di ricevere disposizioni a distanza. La tecnologia da
remoto era GSM e GPRS, la piattaforma informatica era Windows.
Il momento clou del viaggio di lavoro fu la presentazione operativa
ai petrolieri arabi e, anche se non è questo il nocciolo
dell'avventura che sto per raccontare, vale la pena conoscerne i
particolari.
Avvenne in una sala conferenze del sesto piano sotto terra di un
hotel di lusso, evidentemente collegato da ponti in grado di
mantenere la copertura dei telefoni mobili.
In platea una trentina di petrolieri vestiti di bianco, copricapo
bianco e cordino nero.
Noi eravamo seduti dietro una scrivania a sinistra, lasciando in
mezzo lo schermo per il videoproiettore.
Prese la parola il nostro agente, che in inglese spiegò ai presenti
la natura della dimostrazione. Quindi passò la parola a me.
«Ringrazio il mio agente per aver parlato in inglese - dissi a mia
volta, - perché per me la vostra lingua è… arabo.»
Fortunatamente sorrisero di gusto, dimostrando di avere il senso
dell'umorismo. Se fossero rimasti seri, forse avrei complicato le
cose, ma così avevo stemperato la tensione.
Presentai il mio direttore e gli passai la parola perché procedesse
alla dimostrazione.
Lui si alzò e si portò a un portatile collegato a un
videoproiettore.
«Signori e signore - disse, dimenticando che non c'era neppure una
donna in sala, - vi prego di dare i vostri numeri di cellulare al
segretario del nostro agente, così li inseriremo nel nostro
computer portatile.»
L'operazione non richiese che pochi minuti e mentre il ragazzo
inseriva i numeri nel PC, il direttore spiegò che cosa avrebbe
fatto.
«Sulla mappa vedete dei pozzi di petrolio ideali e una raffineria.
Ad un certo punto io darò il segnale di attenzione per una pompa
che presenta problemi. Riceverete immediatamente l'avviso sul
vostro cellulare. Sullo schermo vedrete l'ubicazione della
pompa.»
Premette il pulsante di invio e si accese l'icona di una fiamma sul
disegno di un pozzo.
Immediatamente
squillarono decine di cellulari che avvisavano l'arrivo di un SMS.
Tutti guardarono il proprio display e lessero la scritta in
inglese: «Pericolo alla pompa Sei».
Alzarono lo sguardo attendendo disposizioni dal mio direttore.
«Come potete leggere a fine messaggio, - disse lui - sono scattate
altre operazioni automatiche inserite nel sistema. Il messaggio
infatti lo hanno teoricamente ricevuto anche i diretti responsabili
al controllo. Ma anche voi come loro potete prendere delle
decisioni immediate: approfondire che cosa è successo,leggere cosa
si consiglia di fare, cosa è già scattato in automatico, o comunque
quello che vorrete attivare al momento del ricevimento del
messaggio.»
Uno di loro chiese se poteva procedere allo spegnimento della
fiamma. Quell'icona lo innervosiva.
«Certamente. - Rispose il mio direttore. - Come dice il vostro
menù, basta premere il tasto 5.»
Lui lo premette e l'icona della fiamma si spense in breve,
generando subito una serie di sospiri tra i presenti.
Seguì un altro esempio con la raffineria, dove l'elaborazione dei
dati emessi dai sensori davano un assetto realistico della
situazione, anche stando dall'altra parte del mondo.
Il resto era lavoro del nostro agente, riservandoci di rispondere a
domande alle quali lui non sapeva dare una risposta.
Tutto bene quindi, e quella sera ci meritammo una strepitosa danza
del ventre sul Nilo, rigorosamente senza un goccio di alcolici.
L'agente trattò con me a lungo mentre la danzatrice faceva il
possibile per distrarmi, ma era un gioco che mi aspettavo. Più che
una donna, ci mancava un buon bicchiere di vino.
La sera però, portandoci all'albergo, ci hanno ricordato che al
primo piano c'era un bar per occidentali, con tanto di alcolici e
bellissime cattive ragazze. Sì, sappiamo che in inglese si
dice proprio bad girls, ma trovammo lo stesso antipatico
il termine e ce ne andammo dritti a letto senza neanche bere il
bicchierino della staffa.
L'indomani ci portarono all'aeroporto, scortati dalla polizia
turistica, e tutti ci lasciarono felici e contenti non appena
passato il check point. Eravamo in buone mani.
Ma è proprio lì che invece cominciò la nostra avventura.
Appena passato il controllo, cercammo i nostri bagagli. Una cosa da
poco, perché li si mette nel tunnel di controllo e li si riprende
dopo che li hanno guardati con i raggi X.
Sì, semplice a parole, perché in realtà i nostri bagagli non
arrivarono mai. Erano scomparsi prima ancora di entrare fisicamente
nella stazione aeroportuale. Volatilizzati in un frazione di
minuto, in un percorso di meno di cinque metri.
Come si può immaginare, abbiamo perso buoni cinque-dieci minuti
prima di realizzare che qualcuno ce li aveva portati via. Ma
tant'è, non ci perdemmo d'animo e ci dividemmo: mandai il collega a
cercare le valige tra i passeggeri andati a destra ed io corsi a
sinistra. Guardammo tutti i bagagli trascinati con le ruote o con
un carrello da facchino. Guardammo anche quelli chi stava facendo
le operazioni di imbarco, eppure niente. Sembrava inverosimile,ma
qualcuno ce li aveva presi con destrezza. O con maldestrezza.
«Vieni - dissi all'altro. - Andiamo di corsa al posto di polizia
aeroportuale. Ogni secondo è prezioso.»
Vidi un agente con le ghette rosse e gli chiesi di portarmi il suo
comandante. Di corsa.
Quello mi portò in fretta al posto di polizia. emtrò e uscì
accompagnato dal suo capo, un giovane tenente.
«Si calmi!» - Gridò questo in inglese, sistemandosi la cintura con
la fondina. Forse faceva parte del suo protocollo di intervento
quello di ripristinare la calma.
«Sono calmo. - Gli risposi tranquillo. - È lei che si sta agitando.
In realtà però abbiamo pochissimo tempo, se vogliamo rimettere la
merda dentro il cavallo.»
Francamente non so se aveva capito la seconda parte della mia
frase, che in italiano sarebbe servita per sdrammatizzare. Fatto
sta che ha risposto benissimo.
«Mi dica cosa devo fare.» - Mi disse, dimostrando contegno e
mettendosi sull'attenti. Forse anche questo faceva parte del suo
protocollo.
«Si faccia dire quanti voli con imbarco collettivo ci sono in
questo momento.» - Gli indicai il telefono
«Imbarchi collettivi?» - Domandò con una certa curiosità.
«Sì. Abbiamo perso i bagagli e l'unica possibilità è che siano
stati presi da qualcuno che effettua imbarchi collettivi. Non si
rubano i bagagli in questa fase dell'imbarco.»
Realizzò subito. Prese il telefono e diede qualche ordine in arabo,
secco, da chi è abituato a dare disposizioni. Protocollo.
Ascoltò, poi chiuse. Incrociai le dita.
«Ce ne sono due. Uno è appena finito, l'altro… temo che sia già
decollato.»
«Sì sì, quello decollato non mi interessa. Voglio quello appena
concluso. Qual è?»
«È il volo per Vienna.»
Mi guardò interrogativo.
«Cosa devo fare adesso?»
«Sì, mi faccia accompagnare a quell'imbarco.» - Indicai uno dei
suoi agenti.
Ne chiamò due e diede ordini in arabo. Poi mi tradusse in
inglese.
«Li segua.» - Disse. - Recuperi i suoi bagagli. Noi l'attendiamo
all'imbarco dell'Alitalia.»
«Tieni. - Dissi al mio collega dandogli il mio bagaglio. - Torno
subito con le nostre valige.»
Mi guardò commiserevole, ma scattai via subito.
Un agente mi precedette e un altro mi seguì, entrambi ostentando le
ghette rosse e il kalashnikov imbracciato.
Quello in testa prese il passo di corsa e si diresse all'imbarco
per Vienna. Io e il suo collega, dietro. Sbattevano gli scarponi
per terra per palesare la loro azione.
Vedendoci arrivare così determinati, le hostess del check-in per
Vienna si fecero da parte. L'agente di testa saltò sulla pesa
bagagli e passò oltre. Io gli andai dietro, scortato dall'altro.
Sembrava una spedizione di polizia.
Non ero mai stato dietro un check-in, ma francamente non ricordo
molto. Sembrava una spedizione del periodo coloniale…
Certo è che al nostro passaggio tutti si facevano da parte, come se
fossimo pericolosi. E quantomeno eravamo spaventosi, con
il rumore cadenzato dei loro scarponi e il mitra di traverso.
Anch'io mi trovai a sbattere le scarpe con il loro ritmo.
In pochi minuti uscimmo dal capannone bagagli, all'aperto vidi le
piste di volo e gli aerei in attesa, ma andammo diritti verso un
trenino portabagagli che si stava allontanando. L'agente fischiò e
il conducente fermò il piccolo convoglio. Tutti si allontanavano di
corsa, ma l'agente fermò un facchino. Questo tornò a malincuore,
timoroso. Forse pensava che ci fosse un esplosivo nei bagagli. Ma
obbedì.
Feci scaricare il primo carrello e allineare le valige. Niente.
Feci scaricare il secondo carrello. Niente
Feci scaricare il terzo. Niente.
Mi sentii un idiota, ma dovevo continuare a credere in quello che
facevo.
Solo nell'ultimo carrello, come forse era logico, c'erano le nostre
valige. Le riconobbi e lessi la targhetta.
«Eccole. - Dissi soddisfatto all'agente. - Recuperate.»
L'agente fece prendere i nostri bagagli da un altro facchino che
chiamarono col fischietto. Lasciammo tutte le altre valige
sull'asfalto e poi, ma stavolta con calma anche se al passo
cadenzato, facchino e guardie mi accompagnarono al check-in
dell'Alitalia, dove il personale ci stava stavano insieme al mio
collega e al tenente con altri due agenti. L'ufficiale era più
soddisfatto di me.
Mi fece il saluto militare e io glielo restituii.
«Complimenti - gli dissi. - Ha fatto un ottimo lavoro.»
«You welcome,sir!»
A bordo il collega mi disse che la confusione era nata per colpa
nostra, perché ci avevano fatti passare tagliando la fila di un
imbarco collettivo.
Lo so, gli dissi mentendo. «È per questo che ho ristretto subito le
ricerche.»
Presi le mie parole crociate e cominciai compilarle, cosa che
faccio solo quando prendo un volo.
All'altezza della Grecia, guardai dal finestrino, perché è sempre
bello sapere di volare al di sopra degli dei, sopra l'Olimpo. Stavo
pensando a Giove che guardava in su, quando vidi il Peloponneso e
l'istmo di Corinto. Pare incredibile, ma da quell'altezza si vede
perfino il ponte avveniristico che lo attraversa.
Ripresi le parole crociate. Non riuscivo a trovare un nome.
«Mi scusi, signora… - Dissi alla hostess. - Lei dovrebbe
saperlo.»
«Mi dica. Se posso…»
«Lei sa chi è la santa protettrice delle Hostess?»
«Sì, certo. - Sorrise. - È Santa Bona.»
E se ne andò.
Mi prende in giro. - Pensai.
E invece era esatto: 9 lettere, avevo già una S, una
B e una N. Scrissi SANTABONA e mi
addormentai soddisfatto.
GdM
La foto che segue è stata scattata in pieno
centro del Cairo. Il conducente sta usando il telefono cellulare,
ma forse in Egitto non è un'infrazione...
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