Modi de dir 'n trentìm/ 28 – Di Cornelio Galas
28ª puntata dei modi di dire e frasi fatte della tradizione dialettica trentina
DRIO MAN – In sequenza. Passo a passo. Avanti così. Fora for. Seguendo una guida. Ma anche in una logica matematica, geometrica. Prima questo poi l’altro. «Ma sì te derài (vedrai) che drìo man combiném qualcòs».
NO STA DIRME GNÈNT… – Invito a non relazionare su un fatto che sicuramente s’intuisce nella sostanza. Nella maggior parte dei casi negativa. Ma anche in senso contrario: «No sta farme dir gnent…» Sempre in riferimento a qualcosa che non si vorrebbe dire, o meglio, proprio rievocare. «No sta dirme…»: presa d’atto di qualcosa che non si pensava. O che si pensava ma non si voleva sentire.
COSSA TE PÀRELO? – Cosa ne dici? Cosa pensi di questo? Senza il «che» diventa invece un giudizio. «L’è propri ‘’n zàver, me par» - «Ah no se fa così, te par?»
GH’ÈLO? – C’è? Sottinteso: il dottore, il commercialista, il familiare, la persona che cerchi. Segue, in caso di risposta negativa: «Ah ben, alora passo n’altra volta…»
CIAO FIGHI – Addio a qualcosa. Ad una situazione favorevole. Perdita di qualcosa. Anche del minimo sindacale: «Sposàrse coi fighi sechi». In italiano si direbbe «Buonanotte ai suonatori!»
VÈI DENTER CHE LA FEN FORA – Sottinteso: la questione, il problema, la divergenza. C’è anche la possibilità di dirimere la controversia all’esterno (di una casa, di un bar, ecc.): in questo caso si dice «Vèi fora che la fén fòra». Con minaccia suona così: «Te ’spèto fora dopo…», a volte si aggiunge il vocativo mona.
ENTAIÀRSELA – Capire al volo qualcosa che di solito non è proprio positiva. Anche «capìr subite l tài del prà». Ovvero come erano messe le cose e come potrebbero mettersi…
PREGA DIO CHE NO VEGNA LÌ… Più che un avviso di intervento. Insomma di azione violenta per por fine a qualcosa che disturba e non accenna a finire. Anche: «Vara che se vegno lì… (sottinteso: te smàco)».
NETAR SU PER TÈRA – Lavare i pavimenti, qualcosa che è finito per terra. Per altri tipi di pulizia: «Ghe sarìa le terlaine da tirar zò dal plafòn». «Me sa che l’è da l’an pasà che no te nèti soto ’l let…vara che polvèr».
PIAM PIAM CHE TE TE STRANGOLI – Rivolto a chi mangia troppo avidamente.
MAGNÀR A STRANGOLÓN – Come sopra, ma perché si è costretti perché oberati da troppi impegni.
EL VA ZÓ CHE ’L SE CÓPA – Non è riferito, solitamente, a qualcuno impegnato in pericolose discese. Ma al cibo o alle bevande (vino soprattutto) particolarmente gustose. Nel senso che non occorre tenerle più di tanto in bocca: decidono subito (vivande e bevande) il suicidio nell’esofago e nei canali successivi che portano all’intestino. Dove tutto sarà ridotto ai minimi termini dai succhi gastrici. Anche: un boccone tira l’altro, appunto, nel fatale burrone.
DAME EL ME SOLITO SUCO DE FRUTA… – Lo diceva in quel di Bolognano d’Arco un anziano intendendo per succo di frutta il succo di uva (bianca) naturalmente d’accordo con il barista che tirava fuori la solita bottiglia di vino nosiola.
DÀME E BICERÒT – Come sopra, ma detto in chiaro: el “biceròt” l’è en bianchét. In veneto «Dame n’ombréta». In tutti i casi si intende dire che la porzione deve essere piccola, per giustificare la propria coscienza.
FAR LE SCOLE ALTE – Una volta voleva dire frequentare le scuole medie. Poi le superiori (ancora più alte insomma) e, ma solo da qualche decennio, l’università.
NO SO PÙ DA CHE BANDA VOLTARME (O CIAPARME) – Situazione di forte stress. Con tanti impegni, lavori da eseguire. Più che altro richieste che arrivano appunto da tutte le parti. A raggiera, con al centro il malcapitato. In italiano Non so più a che santo votarmi».
SE SA BÈN… – Lamentela che sta per dire «Ci mancherebbe altro!»
SE SA BÈN/ 2 – Conferma del già detto, della verità del concetto espresso in precedenza da altri. «Sarìa da spostarla quéla machina ’n mèz ala straa…. - Se sa ben…». Anche: «Credo ben…».
GH’AT LE MAN DE MÈRDA? – Domanda retorica rivolta ai maldestri. Viene posta dopo che qualcuno ha allentato con le mani – per vari motivi – la presa. E quindi qualcosa è caduto per terra. Anche «gat le man de poìna?» laddove poìna sta per ricotta. Insomma si contesta alla fine scarsa attenzione al trasporto, alla protezione di oggetti perlopiù fragili.
MÒCHELA LÌ – Potrebbe anche essere riferita alla moka del caffè quando… erutta. Ma si tratta in realtà di un invito a smetterla. Di solito preceduta da minaccia: «Vara che se no te la mòchi lì…», o dal solito vocativo: «mona!»
ANCÒI NO SON PER LA QUALE – Frase all’apparenza del tutto sgrammaticata, ma in realtà una sineddoche (figura retorica che consente di dire tutto con poco). Sta per dire che non è giornata. Oggi proprio non va. Meglio rinviare. Ricordo quella volta che mi stavano portando in sala operatoria. Una infermiera dice a chi spingeva il mio lettino: «Sét dei nossi stasera?». E lei rispose: «Ancòi non son per la quale». Beh, forse era meglio rinviare…?
ANCÒI SON ZIDIÓS - ANCÒI GÒ LE BÀLE GIRADE – Come sopra, ma in forma più aggressiva. Come dire «Meglio girare al largo».
I SE PARLA… – Non è la presa d’atto di un dialogo, di una riconciliazione. Almeno questo non è il significato primario. «La Gina e ’l Marco i se parla» vuol dire che Gina e Marco si frequentano, hanno relazioni amorose, confidenziali, intime (fatte ma non ancora dichiarate). Insomma siamo nella fase che precede ancora l’eventuale fidanzamento ufficiale. Si usa anche separatamente. «La Gina la ghe parla al Marco». «Ma sat che ‘l Marco el ghe parla ala Gina? Da quando? Ah no so, ma i l’ha visti ensema pu de na volta a magnar la pizza».
CIAPÀR SÓTO – Sinonimo di investimento stradale. «Vara che per esser stà ciapà soto da ‘n camion e podérla ancor contar… te gai avù cul neh». Per prendere da sotto qualcosa invece si dice «ciapàr da soto». Per prendere da sopra: «Ciàpà el sach enzima».
CIAPÀ EN MÈZ – Dicesi di persona che è al centro delle villanie della gente.
MENÀR EL TORRÓN – Per fare il torrone bisogna mescolare la pasta nell’apposito contenitore ma soprattutto avere esperienza in questa attività, guidare le operazioni. Ci si riferisce quindi a chi comanda qualcosa. A chi ha responsabilità di un lavoro. «Chi elo che mèna el torron chì?». Attenzione però perché torrone sta anche per qualcosa che annoia: «Oscia ’l m’ha piantà zò ‘n torròn che no ‘l la finiva pù».
ZO’ BAS - SU ALT – Giù e su. Ma il trentino specifica anche l’altezza. Giù basso, su alto. Non sempre la differenza è quella che corre tra primo piano e pianterreno.
SU SÓRA E SU SÓTO – Come sopra, ma più preciso.
VÈI CHI, VALÀ – All’apparenza è un ossimoro, ma è solo un invito rafforzato e confidenziale ad avvicinarsi.
TO’ DÀI – Altro ossimoro costruito per invitare ad accettare l’offerta: «Prendi, dai».
DÒRMIT? – In sé l’interrogativo potrebbe anche partire dall’apprensione per lo stato apparentemente comatoso dell’altro, dell’altra. Il più delle volte però proprio questa domanda provoca un brusco risveglio. Con la risposta seccata: «Sì, dormivo fin quando te sei vegnù tì a domandarme se dormoivo».
Ma si dice anche per dare del mona in maniera garbata a uno che ha fatto un errore grossolano.
SE NO GHE N’E’ DÉNTER NON ’N VEN FÒRA – Applicazione concreta della legge fisica dei vasi comunicanti. Ovvio il risultato se si cerca di cavar fuori qualcosa dal nulla. In particolare qui si fa riferimento alla presenza o meno di neuroni nel cervello.
SE NON T’EN MÉTI DÉNT NON T’EN TIRI FORA – Come sopra, ma in una situazione migliorabile.
TE G’HAI NA FACIA DA MONA CHE CONSOLA – Lo dice uno che credeva di essere il più mona, finché non ha visto lui.
TE G’HAI LA FACIA COME EL CÙL – Lo si dice a uno che conta balle sempre, senza eccezioni.
NO L’È QUÉLA SO MARE – Siamo fuori strada.
MA DEVO MÉTERVE LA MERDA SOTO AL CÙL PER FÀRVE CAGAR? – Lo si dice a chi non riesce a far niente senza che qualcuno gli dica di farlo.
TE SÉI PROPRI ROT EN CÙL – Lo si dice a uno fortunatissimo.
DÌSET DALBÒN? – Dici sul serio? Domanda retorica che non richiede una risposta: è implicita nella domanda.
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