In Francia sulla Via Podense, 6ª puntata – Di Elena Casagrande
Teo deve rientrare al lavoro e a La Romieu finisce questo nostro cammino, con l’arte romanica di Moissac negli occhi e l’ospitalità guascona di queste genti nei cuori
Il chiostro dell’abbazia di Moissac.
(Puntate precedenti)
Dopo una bella colazione a Les Figuiers con confetture, pan brioche e caffellatte, salutiamo Lauzerte.
Il primo regalo della giornata è la chiesetta di St-Sernin-du-Bosc (San Saturnino). Così spoglia, bianca e silenziosa trasuda spiritualità.
Con tranquillità proseguiamo poi per Durfort-Lacapelette, dove compero una baguette e prosciutto e formaggio, dato che sembra che a St-Martin, più avanti, non ci sia un ristorantino per il pranzo.
Oggi si cammina tra collinette di girasoli e di sorgo, in un caldo appiccicoso.
Bellissime piccionaie e stupendi frutteti accompagnano i nostri passi. Poco prima di entrare a Moissac facciamo pausa panino.
Tipica piccionaia dopo Lauzerte.
L’imponente chiesa abbaziale di Moissac e la sua storia ci entusiasmano
In città arriviamo presto, verso le due del pomeriggio. Andiamo subito alla Comunità Marie Mère de l’Eglise, così da farci una doccia e visitare in pace la chiesa abbaziale di Saint-Pierre: siamo impazienti.
Non delude: è impressionante il timpano, unico nel suo genere, con la Maestà del Cristo dell’Apocalisse, i 4 evangelisti, il mare di cristallo e sotto i musici.
Ma ciò che mi stupisce di più è il portale gemino, con gli stipiti ondulati (mai visti prima!) e il famoso Geremia, dalla linea sinuosa e dall’espressione dolce.
E il cloître (chiostro) del 1100 è un vero miracolo! Sfuggì ai lavori della ferrovia del 1840, solo grazie all’intervento di due personaggi lungimiranti.
Geremia su uno degli stipiti del portale di St-Pierre.
Le insensate distruzioni del secolo XIX, attuate in nome della modernità
Invece, purtroppo, l’abbazia benedettina venne demolita, in nome del progresso (per far posto ai binari del treno), un po’ come avvenne a Trento col convento di San Lorenzo! Il complesso di Moissac, nel 2013, compie 950 anni!
Ora, per fortuna, è patrimonio dell’umanità, in quanto parte del Cammino di Santiago, per cui dovrebbe essere al sicuro! L’unica cosa da temere è il tempo e la corrosione (ma, per inciso, comunico che, nel maggio 2022, sono iniziati i lavori di restauro dei capitelli).
A noi costa uscire dal chiostro, con le sue storie di pietra, ma ci tocca. Dobbiamo fare la spesa per la cena.
Siamo stanchi e abbiamo pensato di mangiare al rifugio. Lì, più tardi, arriva anche Riccardo e gli offriamo una confezione di lasagne da scaldare.
Di Juan Carlos, neanche l’ombra.
Saint-Pierre a Moissac e il suo portale.
Camminare lungo i canali, in Francia, è davvero bello
Lasciamo Moissac seguendo, per qualche chilometro, il canale della Garonna.
Per me vale il viaggio: è stupendo camminare seguendo un corso d’acqua. Le indicazioni del G.R. ci fanno però salire, dopo circa 3 km, verso Marianne, Bodou e Sainte-Rose: altro che tappa piana! Dall’alto, almeno, è molto bello, perché si può godere della confluenza tra i fiumi Tarn e Garonne.
Finalmente si scende: a Malause porto, il canale è pieno di chiatte e houseboat.
A destra e sinistra, il giallo dei campi di girasole fa capolino tra le fila degli alberi. Ne resto talmente rapita che, qualche anno dopo, ho voluto fare la Velo (ciclabile) de la Loire, a piedi.
Come ama dire Teo: «Lungo la Loira, per 300 chilometri, niente… una sola panchina e, per di più, occupata!».
In cammino lungo il canale della Garonna.
Ad Auvillar, uno dei più belli villaggi di Francia, si fa pausa «gourmet»
Dopo Pommevic e Espalais attraversiamo la Garonna, su un lungo ponte in ferro, fino ad Auvillar.
In paese ci sono la torre dell’orologio, le tipiche case con le facciate tappezzate di fiori e la scenografica «halle aux grains» (mercato dei cereali) della piazza.
È circolare e unica nel suo genere. Lì vicino c’è un ristorantino con vista sul fiume. Ne approfittiamo e in giardino ci concediamo un bel pranzetto: involtino di pasta fillo e insalata, tagliatelle ai funghi con salsiccia d’oca e tortino caldo al cioccolato!
«Je t’aime, France!»
Riprese le forze…continuiamo il cammino verso St-Antoine, tra i campi di frutta.
Il mercato coperto circolare di Auvillar.
Saint-Antoine prende il nome dall’antico albergo per pellegrini degli antoniani
Il villaggio ci sorprende con la chiesetta romanica dal portale quadrilobato e con le sue case-traliccio. Noi alloggiamo in una delle gîte più storiche di questo cammino, l’Oustal St-Antoine, che si chiama così in ricordo del rifugio medievale fondato qui dagli antoniani.
Assomiglia alla casa di campagna di mio nonno, a Ferrara. La cena viene servita nel restaurant convenzionato del paese (200 abitanti).
Nel cortile c’è il Senatore. Lo facciamo accomodare con noi, perché è solo. Penso sia l’ultimo pellegrino partito con noi.
Sono passate quasi tre settimane, ma sembra un secolo e tutto è così diverso! Lui è uno dei più grandi commercianti di legname della Francia: essenze esotiche e, soprattutto, rovere francese, richiestissimo per botti, barriques e… bare di lusso.
Resta il più gentile di tutti i pellegrini incontrati su questa via! Ci gustiamo assieme del riso con curry di pollo e lenticchie.
La chiesetta di Saint-Antoine e casa-traliccio.
Thérèse, nel suo rifugio, ci porge la bandiera italiana come benvenuto
Siamo in Guascogna, nelle terre di D’Artagnan. I frutteti profumano l’aria con sentori di prugna, melone, pera e mela. Gli abitanti sono molto simpatici, scherzosi, aperti. In una parola: guasconi! Passiamo dal Castello di Flamarens con la sua chiesa, semi-diroccata, per raggiungere Miradoux.
A la Pause Verte c’è Thérèse Fardo, che da decenni accoglie i pellegrini… che non hanno prenotato! Ci fermiamo per salutarla.
Fiera ci mostra casa, porgendoci una bandiera italiana, perché, dice, gli italiani sono simpatici.
Forse è una francese atipica, penso. Ci fa il timbro sulla credenziale: che gran cuore ha questa donna!
Continuiamo e, dopo un tratto nel bosco, è tutta discesa verso Lectoure.
La torre della Cattedrale gotica di San Gervasio e Protasio è monumentale.
Mangiamo qualcosa nella terrazza di un ristorante del centro, con vista sui Pirenei, perché l’accoglienza parrocchiale «Au Presbytère» apre solo nel pomeriggio. Intanto ci godiamo il paesaggio e, in lontananza, i monti che ci separano dalla Spagna!
Thérèse con me nella sua casa-rifugio per pellegrini.
Siamo a Lectoure, nel paese della cuccagna, nota per il suo color «bleu»
Lectoure è famosa per il suo colore blu. Nel Medioevo, qui, si coltivava un’erba dai fiori gialli, l’isatis tinctoria (guado).
Le sue foglie, lavorate e appallottolate in piccole sfere (chiamate cocagne), venivano commerciate in tutta Europa, per tingere le stoffe.
Il «blue pastel de Lectoure», fino al Rinascimento, ha portato la ricchezza in questi paesi, detti appunto «della cuccagna».
Con l’arrivo dell’Indigo, quello dei nostri jeans, questa pianta è stata abbandonata, ma ora è in auge per un mercato bio di nicchia.
I portoni della città sono blu. Anche quello della canonica, dove c’è l’albergo dei pellegrini.
È un antico palazzo, proprio di fronte alla chiesa. Lì ritroviamo il prete che ha appena detto Messa: è giovane, ma veste con l’abito talare nero, lungo fino ai piedi (stile don Matteo), con mille bottoncini e una fusciacca svolazzante. Indossa occhiali in titanio con una lente tonda e una rettangolare.
È l’abbé David Cenzon, di origini venete. I suoi nonni si trasferirono in Francia durante il fascismo.
Siamo accolti da due volontarie, che lo aiutano con i pellegrini.
La torre campanaria della chiesa di Lectoure.
«Al Presbiterio» godiamo di un’ospitalità simpatica, generosa e chic
Ceniamo in una sala con un enorme camino in pietra, ritratti settecenteschi alle pareti, candelabri d’argento sul lungo tavolo massiccio e una gabbia con piedistallo. L’uccellino è solo. L’altro è morto, ci dice il prete, perché si è dimenticato di rifornirli d’acqua!
«C’est sa» (questo è tutto!), dice sconsolato. Ci sono un giovane giardiniere di Parigi, una coppia di francesi, un normanno e una mamma tedesca con due figli adolescenti, in bici. Il clima è gioviale. Don David ci benedice.
A fine cena ci offre il famoso melone di Lectoure, con un pizzico di sale perchè qui si gusta così! Si conclude cantando insieme le canzoni dei pellegrini.
L’indomani siamo i primi a ripartire, pur essendoci alzati per ultimi. L’allegra brigata, che ha svegliato tutti due ore prima, alla 5 e mezza…sta ancora facendo colazione! Ecco…questo non si fa! Se uno vuole partire all’alba, parta…esca e, possibilmente, non disturbi chi sta dormendo!
Tra i campi prima di Marsolan.
Le cose belle finiscono, ma nulla è perduto: si può sempre ricominciare
Il cammino, oggi, è tutto un su e giù tra i campi di girasole. È nuvoloso. A Marsolan facciamo pausa alla gîte Le Bourdon.
Il gestore si è trasferito qui da Grenoble, dopo un incidente, che gli ha fatto cambiare vita. Con orgoglio metto una puntina gialla su Trento, sulla cartina geografica dietro il tavolo.
Riprendiamo e, d’un tratto, ci appare davanti la mole dell’Abbazia di La Romieu («arromeu» è il nome del pellegrino, in lingua locale).
Oggi, purtroppo, il nostro cammino finisce, perché…non abbiamo più tempo. Da qui i pellegrini medievali o proseguivano per Saint-Jean-Pied-de-Port (SJPDP) o per il Somport, che raggiungevano percorrendo la valle del Baïse con l’Abbazia di Flaran e allacciandosi alla Via Tolosana.
Le tappe della via tolosana già le conosciamo, per cui… non ci resta che aspettare la prossima occasione per proseguire, da qui, verso SJPDP.
Il «passaporto del pellegrino», ovverosia la credenziale, non ha scadenza. Quando sarà il momento basterà metterla nello zaino, farla «ri-timbrare» a La Romieu e… ripartire.
Elena Casagrande
FINE
L’abbazia di La Romieu.
Commenti (1 inviato)
Ultreya!
Invia il tuo commento