La nostra Via Micaelica/ 1 – Di Elena Casagrande
Da Le-Mont-Saint-Michel attraversiamo la Francia fino alla Sacra di San Michele in Val di Susa: 1.100 chilometri, lungo la Linea Sacra di San Michele
Segnaletica dei Cammini di San Michele in Normandia.
Il mistero dei 7 santuari «allineati» dedicati a San Michele Arcangelo
Si dice che San Michele Arcangelo, nella battaglia finale contro Satana, lo respinse all’inferno con un ultimo fendente di spada che sfiorò il globo terrestre, incidendovi una linea lunga circa 2.000 chilometri. Su questa linea sorsero sette santuari dedicati all’Arcangelo: da Skelling Michael in Irlanda al Monastero Stella Maris sul Monte
Carmelo in Israele, passando da Cornovaglia (Saint Michael’s Mount), Francia (Mont-Saint-Michel), Italia (Sacra di San Michele e Monte Sant’Angelo) e Grecia (San Michele di Panormitis).
A noi poco importa che i santuari lui dedicati siano perfettamente allineati o no. Questi temi, spesso dibattuti on line, per noi sono questioni di lana caprina. Inoltre, ultimamente, si stanno valorizzando anche altri cammini angelici o micaelici, lontani dalla linea sacra. Ciò che conta, per noi, è onorare i suoi santuari principali, sperando che San Michele accompagni i nostri passi.
L’arrivo dell’alta marea a Le-Mont-Saint-Michel.
L’arrivo dell’alta marea accentua la magia innata di Le-Mont-Saint-Michel
Da anni sognavamo di andare da Le-Mont-Saint-Michel alla Sacra di San Michele in Val di Susa. E poi, magari, a Monte Sant’Angelo. Nell’agosto 2018 è arrivato il momento. Nonostante lo sciopero dei bus che troviamo a Parigi, dopo il volo, a mezzogiorno raggiungiamo Le-Mont-Saint-Michel. Stanotte ci fermiamo qui, anche se lo abbiamo già visto tante volte. Pranziamo lungo le mura, in un ristorantino davanti alla baia, «La Vielle Auberge». Dovrei gustarmi l’agnello della baia, ma non resisto alle «moules-frites» (cozze e patatine).
Nel frattempo Teo, che non si «scarica» mai, prepara il solito fitto piano di battaglia: passaggio dal prete per la benedizione e per timbrare la credenziale, spesa per la tappa di domani, vespri alla chiesa abbaziale. In chiesa, finalmente, il tempo si ferma ed io posso respirare. Troviamo da dormire a «Les Relays Du Roy», vicino alla diga, l’ideale per guardare l’arrivo della marea, al tramonto.
I vespri nella chiesa abbaziale di Mont-Saint-Michel.
Teo ed io utilizziamo le cartine geografiche dell’Istituto Nazionale Francese
Questo cammino ce lo «disegniamo» noi, dato che all’epoca non c’è quasi nulla. Niente guide e niente tracce GPS. Teo ha ordinato 10 cartine geografiche all’Istituto Nazionale Francese, scala 1: 100000. Le utilizzeremo per trovare i GR (Grande Randonnée – la rete di sentieri più importante di Francia), le ciclabili, le strade e le stradine che ci condurranno alla Sacra San Michele in Val di Susa. Il satellitare lo useremo solo in caso di bisogno. Con noi abbiamo le credenziali francesi (Carnet du Miquelot) de Les Chemins du Mont-
Saint-Michel, giusto per farci apporre i timbri lungo la via, ma non per seguire i tracciati che riportano, limitati ai cammini «angelici» del nord della Francia. Quello che potrebbe essere più vicino al percorso che abbiamo pensato è l’Itinerario di Gerusalemme. Ma noi, semplicemente, faremo la linea, più o meno diagonale, che abbiamo in testa.
L’Itinerario di Gerusalemme all’interno della Sacra di San Michele.
Il sentiero della baia di Le-Mont- Saint-Michel a tratti è chiuso perché pericolante
«Oggi camminiamo sul GR 22 della baia, sei contenta?» – mi chiede Teo.
«Certo!» – gli rispondo entusiasta.
Purtroppo, però, fin da subito ci rendiamo conto che il sentiero litoraneo, non solo è sconsigliato per pericolo crolli, ma pure chiuso, a tratti, sia per gli smottamenti, che per le recinzioni apposte dai proprietari delle ville della costa. Questo ci fa perdere per ben due volte. La prima finiamo al cimitero militare tedesco di Mont d’Huisnes.
Ci commuove, specie per l’età di quei soldati. Meritava vederlo. La seconda, invece, ci smarriamo nei meandri di Roche Torin. Il paesaggio della baia, però, lascia senza fiato e ripaga di tutto.
«Sarà il caso di seguire la Veloroute Baie du Mont» (ciclabile della baia) – dico a Teo.
«Infatti» – mi risponde lui – «il sentiero della costa è davvero un caos».
Per fortuna Pontaubault non è lontana.
Camminando nella baia.
Da Pontaubault passò il generale Patton durante la Seconda Guerra Mondiale
Il ponte che abbiamo davanti venne attraversato il 1° agosto 1944 dal generale George Patton.
«Non sarà come ad Omaha o Utah Beach, ma anche qui è toccante!» – dico a Teo.
«Ci fermiamo?» – gli chiedo. «Vediamo» – mi risponde.
Purtroppo, però, i tre alberghi del paese sembrano chiusi da tempo. Non ci resta che proseguire. A Ducey, 4 chilometri dopo, c’è un hotel, situato in quello che un tempo fu un antico mulino. L’ultima camera rimasta affaccia sul fiume Sélune. Dalla finestra della nostra stanza vedo il vecchio ponte in pietra su cui, già nel Medioevo, passavano i pellegrini diretti a Le-Mont-Saint-Michel. In paese c’è anche la chiesa dedicata all’Arcangelo, a dimostrazione che siamo sulla strada giusta, ma quello che qui tutti ti consigliano di vedere è il castello dei Montgommery. All’ufficio del turismo, nella dépendance del maniero, timbriamo le credenziali.
Il ponte della località di Pontaubault.
Il tempo si è fermato nelle stazioni abbandonate della Via Verde per Domfront
L’indomani ripartiamo dalla stazioncina abbandonata di Ducey, dove imbocchiamo la via verde, recuperata dalla linea ferroviaria Pontaubault-Domfront, inaugurata a fine '800 ed utilizzata soprattutto per il trasporto di mele, legname, sidro e pietre. Il trasporto delle persone fu soppresso nel 1939, pare a causa di un deragliamento, ma fu ripristinata durante la Seconda Guerra Mondiale.
La via è comoda, ma la sua monotonia mi sfianca. L’unica cosa che mi strappa un sorriso è un cartello davanti alla vecchia stazione di Pont d’Oir, dove leggo la ricetta della «teurgoule» (un budino di riso, chiamato così perché «faceva torcere la bocca», se ingerito troppo caldo), che la signora Duval cucinava nella «buvette» (ristorantino). Poco prima di Mortain finalmente lasciamo la via verde e saliamo in paese. Qui c’è una cappella, guarda caso dedicata a San Michele: per noi è un bel segno.
Borne (cippo) de La Voie de la Liberté di Mortain.
La battaglia di Mortain consentì di aprire la strada verso il sud della Francia
Davanti all’Hotel de la Poste, dove alloggiamo, c’è un cippo della Voie de la Liberté (via della libertà). Commemora l’avanzata degli alleati dal D-Day e la liberazione di Francia, Belgio e Lussemburgo. Il km 00 si trova a Utah Beach ed il Km è 0 a Saint-Mère-Eglise (dove, sul campanile, c’è ancor oggi un paracadute impigliato, in ricordo del soldato John Stelle, lanciatosi durante l’operazione Overlord).
Dato che a Mortain, nell’agosto del 1944, si combatté una delle più dure e decisive battaglie tra le Panzer-Division tedesche e le Armate americane, anche qui è stato posto un «borne» (cippo), nonostante il paese sia fuori dal tracciato della via seguita dalla Terza Armata di Patton.
Oggi è emozionante vedere la bandiera americana sventolare assieme a quella tedesca, davanti alla collegiata. Ceniamo all’aperto. «Salade viroise» (insalata con salsiccia di Vire), «poulet au fromage» (pollo al formaggio) e «crème brûlée» compensano la fatica della giornata.
La collegiata di Saint-Evroult a Mortain.
La postina di Ger si precoccupa di chiederci se vogliamo un passaggio
A parte il primo bivio oggi non servirà stare particolarmente attenti. Infatti faremo strada. Non passa quasi nessuno quando, dopo una casetta nel nulla, con un giardino pieno di miniature di monumenti (dalla Tour Eiffel, all’Arco di Trionfo, alla Torre di Pisa), ci affianca un furgoncino giallo delle Poste. La postina ci chiede se stiamo andando a Ger e se vogliamo un passaggio o, quantomeno, se può portarci gli zaini. La ringraziamo, ma le rispondiamo che siamo qui proprio per camminare, «fardello» compreso.
Dopo 12 chilometri, a Ger facciamo una pausa in piazza. Dall’ufficio postale esce la nostra amica. Ci sorride e si complimenta per il nostro arrivo. Alla panetteria Teo compera un «pain au chocolat» (saccottino al cioccolato) e un «chausson aux pomme» (fagottino alle mele), ma ce li gustiamo in fretta: c’è ancora tanta strada da fare.
Il torchio del sidro dell’Abbazia di Lonlay.
Ci riposiamo un po’ nel capanno del torchio per il sidro di Lonlay-l’Abbaye
Poco dopo, lungo il cammino, si comincia ad intravedere Lonlay-l’Abbaye. Il paesino deve il nome all’Abbazia benedettina dell’XI secolo, attorno a cui sorse. Oltre alla Chiesa abbaziale il complesso ha conservato anche l’antico torchio in legno per il sidro. Riposiamo un po’ nel suo capanno. Dei cartelloni spiegano che i marinai baschi, durante i loro viaggi commerciali in Normandia, fecero conoscere il sidro ai normanni e che quest’ultimi divennero poi dei maestri nel produrlo.
Si sta bene all’ombra, ma, purtroppo, bisogna ripartire per Haute Chapelle, dove dovrebbe esserci una «gîte d’étape» (ostello), usata per lo più dagli scout e dai gruppi parrocchiali. Ovviamente al nostro arrivo la gîte è chiusa e nessuno risponde al numero di telefono affisso sulla porta. Non rimane che arrendersi e proseguire ancora, stavolta fino a Domfront.
Il complesso abbaziale di Lonlay-l’Abbaye.
Elena Casagrande - [email protected]
(La seconda puntata sarà pubblicata mercoledì prossimo, 23 ottobre.)
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