La nostra Via Micaelica/ 2 – Di Elena Casagrande
La prima grande città che incontriamo sul cammino è Alençon, dove da Louis Martin, orafo e da Zélie Guerin, merlettaia, nacque Santa Teresina di Lisieux
Notre-Dame-sur-l’Eau a Domfront.
Link alla puntata precedente.
La Messa officiata a Notre-Dame-sur-l’Eau ci fa immergere nel romanico normanno
Sulla strada, nella parte bassa del paesino di Domfront, c’è l’Hôtel de France. Nessuno fa caso al fatto che siamo accaldati e con gli zaini.
«Sembrano abituati agli escursionisti» – dico a Teo.
Infatti, poco dopo, entrano anche due ciclisti, sudati e carichi come i muli.
«Una doccia e poi usciamo!» – mi fa Teo, mentre saliamo in camera.
«Almeno per vedere Notre-Dame-sur-l’Eau. È qui attaccata» – gli faccio eco.
La chiesa, un tipico esempio di romanico normanno, è vicina al fiume. Ha una necropoli e persino un lavatoio: è un gioiellino. Quando entriamo c’è la Messa. Finita la funzione una signora, Agnès, ci chiede se può aiutarci.
Le dico che dovremmo timbrare la credenziale del pellegrino. Lei, di tutta riposta, subito ci accompagna alla casa parrocchiale, che sta nella parte alta del paese.
«Il timbro è lì» – ci rassicura.
La Cour (cortile) Marie-du-Rocher a Domfront.
Timbrare la credenziale è l’occasione per visitare il centro storico di Domfront
Poco dopo, davanti alla parrocchia, arriva anche il prete che ha celebrato la Messa. È contento del nostro cammino e ci benedice. Noi, dato che siamo in centro, ne approfittiamo per esplorare Domfront, con le sue case a traliccio, le piazzette interne e la zona del castello.
Al Comune sventolano le bandiere rosse coi leoni di Normandia ed enormi vasi traboccano di fiori gialli. La chiesa parrocchiale è in cemento armato: diciamo che è «originale».
Si fa tardi e dato che, nel nostro hotel, c’è un ristorantino che promette bene, scendiamo per la cena. Teo va sul prosciutto alla brace. Io, invece, per onorare la patria del sidro di pera (Poiré de Domfront) e del Calvados, prenderò il brasato al sidro anche se, forse, non è propriamente estivo. Faccio bene, perché è delizioso. Direi che se la gioca con la «carbonade flamande», che ho assaggiato a Calais, durante un altro cammino, la Francigena da Canterbury.
Bœuf braisé au cidre et Pommeau (brasato al sidro).
Bisognerebbe studiare bene ogni tappa, ma anche perdersi fa parte del cammino
Dopo un’inutile orecchia sulla strada dipartimentale D 976 scelta da Teo, a suo dire «per evitare di salire in centro», imbocchiamo il GR 22 nella direzione errata. Teo ricordava di dover passare da una cappella ed i cartelloni turistici con la Chapelle du Cerisier (Cappella del Ciliegio) lo ingannano.
Io, purtroppo, non mi sono preparata e così sbagliamo in due: roba da principianti. Per inciso preciso che anche l’orecchia era in salita e che la cappella giusta era quella di Sainte-Geneviève, non du Cerisier! Vabbè, colpa delle «assonanze»: per mio marito delle trappole. Ci accorgiamo dell’errore dopo due ore e dopo 8 chilometri fatti a vuoto. L’unica cosa è tornare indietro. Siamo nella Forêt domanial (foresta demaniale) des Andaines.
Il cartello ingannatore.
Un francese che ha lavorato a Pinerolo conosce bene il tragitto che stiamo facendo
Ci tira su il morale il proprietario di un localino che in incontriamo in una baita nella foresta, una specie di bar-ristorante per gente del posto, visto che non ci sono insegne.
Lui si presenta come «The King of Domfront». Saputo che siamo italiani chiede notizie sul Principato di Seborga. Gli faccio vedere la foto delle mimose che Teo mi ha regalato a marzo, con lo stemma di Seborga.
«Allora esiste e posso raggiungere un mio amico!» - esclama.
È simpatico. Arriva anche un francese che parla italiano. Ha lavorato a Pinerolo.
«Noi stiamo andando a Susa a piedi» – gli diciamo. «O, almeno, ci proviamo».
E lui: «conosco bene la strada. Certo che è lunga! Io ci andavo in auto».
Il King of Domfront scuote la testa e noi… noi ridiamo.
La cappella di Sainte Geneviève.
Bagnoles-de-l’Orne è disseminata di cappelle e luoghi di preghiera molto frequentati
Proseguendo nel bosco finalmente arriviamo alla cappella di Sainte Geneviève. È minuscola, ma piena di statue moderne in legno. Ci sono altri fedeli.
Manca poco a Bagnoles-de-l’Orne. Il biglietto da visita della cittadina è un enorme campo da golf.
«Ci vorrebbe la mazza portatile da cammino» – dice Teo.
Al nostro arrivo troviamo una cittadina termale, ferma alla Belle Époque, col Casinò, la passeggiata lungo il lago, i palazzotti eleganti. Ma, purtroppo, Teo ha deciso che vuole vedere il Prieuré (priorato) dei Servi di Maria, fuori dal centro abitato, che pare accolga i pellegrini.
«No! Dobbiamo camminare ancora?» – chiedo, stanca.
Al priorato, immerso nel verde, venerano San Pellegrino, per il cancro e Sainte Ortaire, per i reumatismi. È sicuramente un’oasi di pace, molto frequentata, soprattutto dai malati, ma il rifugio non fa per me. Solo stanzine singole.
Non voglio dormire separata da Teo e poi temo le cimici dei letti.
«Torniamo a Bagnoles» – gli dico e lui capisce.
Bagnoles-de-l’Orne.
In questo centro termale in stile liberty ci sentiamo anche noi dei villeggianti
L’hotel in centro ha i suoi vantaggi. Anche il ghiaccio per il mio piede malmesso. Ceniamo a base di «galette bretonne» (omelette bretone di grano saraceno).
Domani prevediamo di finire la tappa a Pré-en-Pail.
«È un centro abbastanza grande. Ci sarà qualcosa per dormire! Magari i privati affittano stanze» – dico a Teo.
Ma, effettivamente, on line non compare nulla. E, con questa incertezza, lasciamo Bagnoles, il mattino seguente. Si cammina nel bosco. Vicino ad una pista di volo vedo una pietra con stilizzato Le-Mont-Saint- Michel in blu e con una conchiglia di Santiago, cementata sotto.
È poca cosa, ma mi rende felice e ci ricorda il motivo di questi passi. I paesi che incrociamo una volta usciti sulla D 241 sono deserti. Saint-Calais-du-Desert (un nome che è tutto un programma) ha un distributore automatico di pane, ma solo quello. Finalmente arriviamo a Pré-en-Pail. Ci fermiamo in un tabacchino-bar-edicola sulla strada (nazionale 12) e, per prima cosa, beviamo un bel succo fresco.
La pietra con il simbolo di Le-Mont-Saint-Michel.
A Lalacelle scopriamo che dietro l’hotel passa la ciclabile Parigi-Mont-Saint-Michel
Il signore dell’esercizio fa di tutto per cercarci da dormire, ma in paese non trova niente. In compenso, a Lalacelle, 5 km oltre, sempre sulla nazionale, scova una stanza all’hotel Logis «La Lentillere». La prenota per noi al telefono.
«Non sono tanti, ma mettici anche tutti i chilometri già fatti» – bisbiglio a Teo.
Un vecchietto ci aiuterebbe, ma deve tornare a casa dalla moglie invalida e portarle la spesa. Per fortuna la ruota gira.
Un ragazzo di Parigi che sta facendo un tour in auto in Normandia, si offre di accompagnarci.
«Per me è di strada!» – ci dice.
A «La Lentillere» il proprietario ci sta aspettando alla porta. Il posto è carino e ha pure un ristorante con cucina territoriale. E che sorpresa quando veniamo a sapere che da qui passa la Véloscènie, la ciclabile che da Parigi porta a Le-Mont-Saint-Michel.
Forse potremmo prenderla domani mattina. Vedremo.
Arrivando a La Pallu sulla strada per Saint-Calais-du-Desert.
Nel Dipartimento de l’Orne i segnali stradali sono in ghisa dipinti da metà Ottocento
L’indomani proseguiamo verso la cappella di Sainte-Anne e Champfremont. Niente ciclabile. Il paesaggio è bucolico, costellato da casette in pietra, ortensie a profusione e chiese dai campanili appuntiti e con i tetti in ardesia nera.
Arriviamo a Le-Theil (Le-Teil) lungo una stradina secondaria, tra prati e campi, segnalata da antiche «plaques de cocher en fonte» (segnali stradali in ghisa), dipinti di blu e con le scritte in rilievo bianche. Vennero installati quando a circolare erano i calessi e le biciclette, non le auto.
Da lì è facile raggiungere Le Pont-Percé, praticamente alle porte di Conde sur Sarthe, teatro di atroci fucilazioni durante la Seconda Guerra Mondiale. Venne giustiziato anche un italiano.
Poco lontano c’è il Museo dei Fucili, a miccia corta e quant’altro, ma – onestamente – non fa per me. Oramai siamo nella periferia di Alençon.
I segnali stradali in ghisa dell’Orne.
Alencon è la città natale di Santa Teresina e patria del pizzo fatto a mano, patrimonio Unesco
Arriviamo ad Alençon all’una, vuol dire che abbiamo «pestato». Peccato per i lavori di pavimentazione del centro.
Bisogna destreggiarsi tra passerelle e transenne, senza contare che le foto non saranno «pulite». Poi mettici pure il cielo che si è ingrigito e siamo a posto! Prima di andare all’Ibis, entriamo nella Basilica di Notre-Dame, visto che è aperta. La Cappella di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo è toccante: c’è poco da dire.
Qui si sposarono i genitori di Santa Teresina, nella mezzanotte del 13.07.1858.
«Perché si sposarono a quell’ora?» – domando.
Non lo sappiamo. Oggi sono santi anche loro, Louis Martin, orafo ed orologiaio e Zélie, piccola imprenditrice del pizzo di Alençon, patrimonio culturale immateriale dell’umanità.
«Andiamo a lavarci così poi potremo visitare la casa natale di Santa Teresina in santa pace» – concludo, uscendo dalla chiesa.
Elena Casagrande - [email protected]
(La terza puntata sarà pubblicata mercoledì prossimo, 30 ottobre)
La Basilica di Notre-Dame ad Alençon.
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