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Arco, Mostra «Segantini e la Brianza» – Di Daniela Larentis

Alessandra Tiddia parla di Giovanni Segantini e della mostra del MAG da lei curata, dedicata agli anni briantei del geniale artista – L’intervista

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Alessandra Tiddia.

Prosegue alla Galleria Civica Giovanni Segantini di Arco «Segantini e la Brianza», la mostra temporanea del MAG Museo Alto Garda, a cura di Alessandra Tiddia.
Inaugurata lo scorso giugno è visitabile fino al 16 gennaio 2022 nei seguenti orari di apertura: dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 18.00 (lunedì chiuso).
Dedicata agli anni briantei dell'artista nato ad Arco nel 1858, è frutto della collaborazione con il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.

Anche durante il periodo natalizio sarà quindi possibile visitare la mostra e gli spazi espositivi della Galleria Civica di Arco, che raccoglie numerose opere di Segantini, tra acquisizioni del Comune e prestiti da privati e istituzioni.
In seno al progetto espositivo e di ricerca «Segantini e Arco», frutto della virtuosa collaborazione avviata fin dal 2015 fra MAG e Mart, gli spazi della Galleria sono riallestiti con un percorso permanente interamente dedicato al grande pittore.

Abbiamo avuto occasione di parlarne con Alessandra Tiddia, curatrice del Mart e responsabile scientifica del progetto, nonché consulente artistica per il volume «Il cercatore di luce» scritto da Carmine Abate, presentato al Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto il mese scorso, un’appassionante storia familiare intrecciata con maestria alla vita straordinaria di Giovanni Segantini.
Alcune note biografiche prima di passare all’intervista.
 

 
 Alessandra Tiddia  
Curatore e conservatore al Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.
Nata a Bolzano, si è laureata nel 1989 presso l’Università degli Studi di Padova in Storia dell’arte contemporanea con una tesi dedicata alla cultura figurativa della Mitteleuropa nelle ex provincie asburgiche, tema che ha avuto modo di approfondire in occasione del Dottorato in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Venezia (1997).
Dal 1990 al 1993 è stata curatrice free lance a Trieste, presso il Museo Revoltella, collaborando anche con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Trieste in progetti dedicati prevalentemente alla cultura mitteleuropea di fine secolo.
 

 
Dal 1993 è curatore e storico dell’arte presso il Mart di Rovereto, dove fino al 2010 è stata responsabile della sede di Palazzo delle Albere a Trento: in questo contesto ha realizzato il progetto dell’esposizione permanente delle collezioni del Mart fra Ottocento e primo Novecento.
Qui dal 2004 al 2010 ha curato la programmazione espositiva di questa sede con mostre dedicate alla cultura figurativa di fine secolo («Max Klinger. Sogni e segreti di un simbolista», «Franz von Stuck. Lucifero moderno», «Il Secolo dell’Impero. Principi, artisti e borghesi nell’Ottocento», «Sulle tracce di Maurice Denis. Simbolismi ai confini dell’impero asburgico. Landesausstellung 2007»).
 

 
Nel 2010 ha co-curato l’edizione del catalogo generale di Gastone Novelli e nel 2015 ha redatto il Catalogo ragionato dedicato a Piero Marussig.
Ha collaborato con alcune istituzioni straniere come il Belvedere e il Leopold Museum di Vienna, la Galleria Nazionale di Budapest, l’Ateneum Musem di Helsinki, Villa Stuck a Monaco per diversi progetti espositivi.
Già Membro del Comitato Scientifico del Museo Civico e della Consulta Cultura dell’Assessorato in lingua Italiana della Provincia di Bolzano è socia dell’Accademia degli Agiati di Rovereto e della Società di Studi Trentini a Trento; dal 2013 è responsabile del progetto «Segantini e Arco», promosso congiuntamente da Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto e dal MAG (Museo Alto Garda, Galleria Segantini).
Attualmente segue progetti espositivi e di ricerca legati ai temi della Modernità fra 800 e 900.
 


Può parlarci del progetto espositivo e di ricerca «Segantini e Arco», di cui lei è responsabile scientifica?
«Il progetto è stato avviato sette anni fa dal MAG Museo Alto Garda, in collaborazione con il Mart di Rovereto, con l’intenzione di valorizzare la città di Arco come luogo segantiniano, inserendo la Galleria Civica G. Segantini al centro di una rete di relazioni con le principali istituzioni che conservano opere dell’artista, nonché con gli studiosi che si occupano di lui.
«Ed è sembrata una cosa naturale che questo spazio, che già portava il nome di Segantini, fosse dedicato a un centro di ricerca, mi piace definirlo così, dedicato al pittore nato ad Arco nel 1858; una città rimasta sempre nei suoi pensieri e nella sua anima, luogo di origine della sua vicenda biografica.
«Arco è per lui un luogo dell’infanzia, delle pene per certi versi, ma anche un luogo dove ha sempre pensato, con grande nostalgia, di voler ritornare. L’aveva capito molto bene anche l’autore della prima grande monografia su Segantini, Franz Servaes, che inizia il volume proprio con una descrizione meravigliosa di Arco.
«C’erano quindi tutte le prerogative affinché diventasse un luogo dove raccogliere una serie di ricerche, non soltanto le opere, e avviare una serie di relazioni, perché i musei vivono di relazioni.
«L’esposizione permanente, che comprende dipinti, opere di grafica, documenti storici sull’artista, è allestita nel seicentesco Palazzo Panni, nelle sale della Galleria. Siamo partiti con 5-6 opere, del MAG, del MART, del Comune di Arco, il magnifico Autoritratto, di proprietà del Comune, è un po’ l’icona di questo luogo, fino ad arrivare alle 21 attualmente ospitate.
«Una crescita resa possibile grazie alla fiducia di molti collezionisti che hanno creduto in questo progetto. L’ora mesta, per fare un esempio, è un quadro esposto di proprietà privata, un dipinto molto importante, storicamente legato al Trentino, donato da Segantini all’allora sindaco Vittorio Zippel.»
 
«Segantini e la Brianza» è la mostra temporanea attualmente ospitata negli spazi della Galleria Civica G. Segantini di Arco. Chi vi ha collaborato e a che titolo?
«Il progetto della mostra è stato pensato da me, ma vi sono confluite le operatività di Annalisa Bonetti, diretta prima da Gianni Pellegrini e oggi da Matteo Rapanà, Direttore del MAG. Nel catalogo Segantini e la Brianza, a cui sto lavorando, oltre al mio testo ci sarà un testo di Isabella Collavizza, studiosa dell’Ottocento, e un piccolo cammeo con la firma della più grande studiosa al mondo di Segantini, Annie-Paule Quinsac.»
 
A proposito di cataloghi, chi ha scritto la prima monografia su Segantini?
«Non forse la prima monografia, ma il più completo catalogo su Giovanni Segantini è quello scritto da Franz Servaes, pubblicato in lingua tedesca a Vienna nel 1902; tradotto in italiano per la prima volta dal Centro Segantini, è molto interessante ed esaustivo.»


Giovanni Segantini, Ave Maria a trasbordo, (1883), disegno a penna e inchiostro su carta, 302 x 228 mm, Collezione privata ©.

Come è nata l’idea di questa importante esposizione temporanea, di cui lei è curatrice?
«Segantini e la Brianza è un’esposizione che nasce grazie a un editore molto importante, grande estimatore e collezionista di Segantini, ammiratore dell’attività che è stata messa in campo dal Centro Segantini di Arco.
«Questo atto di fiducia si è concretato nel prestito di una decina di dipinti e di disegni che si riferiscono agli anni della Brianza, quindi del periodo 1881-1885.
«Sono gli anni in cui l’artista passa fra Pusiano e alcuni luoghi della Brianza, dove si forma la famiglia; qui nasceranno 4 figli con la compagna Bice Bugatti, di cui si innamora a Milano.
«Sono anche gli anni della sua formazione pittorica, non tanto della formazione accademica, ma della formazione di quelli che sono i pilastri tematici della sua pittura: il tema della natura, della religione, della spiritualità che l’artista trova nella natura.
«La Brianza, con i suoi paesaggi, con i suoi animali, con la quiete delle campagne, riesce a far convergere in Segantini un’attenzione tutta particolare verso dei principi che coniugano spiritualità con umanità, dove umanità è un concetto lato che non riguarda soltanto l’essere umano ma anche il mondo animale.
«E quindi nascono, anche attraverso le esperienze di questi paesaggi e atmosfere brianzole, capolavori come Le due madri. Capolavori che poi decreteranno il successo e anche un grande scandalo, perché in questo quadro, che viene esposto a Milano nel 1891, Segantini assimilerà l’esperienza della maternità umana a quella di una mucca con il suo vitellino, creando un grande scompiglio, andando a toccare un tema sacro, ma rendendolo di un’umanità profonda.
«E proprio questa umanità profonda deriva dall’esperienza brianzola.»
 
Quante opere sono esposte?
«In questa mostra sono esposte una quindicina di opere. Quello che mi preme sottolineare è l’esposizione dell’Album Brianza, un’operazione assolutamente moderna. L’Album Brianza 1884 è un oggetto d’arte, un libro d’artista, creato da una triangolazione di tre persone: Segantini, l’artista che produce la copertina in gesso brunito, Vittore Grubicy, il suo gallerista, e Bugatti.
«Un’idea che nasce dallo spirito imprenditoriale di un mercante d’arte illuminato come Grubicy, suo amico, il gallerista che promuoveva in Italia, ma soprattutto sul mercato internazionale, la sua arte.
«Come promuovere l’artista? Facendo conoscere le sue opere, creando un portfolio, quindi un album con i suoi principali capolavori. Sono delle riproduzioni realizzate con un metodo innovativo, a metà fra la stampa e la fotografia, ma che riproducono fedelmente le atmosfere dei dipinti realizzati negli anni trascorsi in Brianza.»
 

Giovanni Segantini, La pompeiana, (1888-1890), pastello e tempera acquerellata su cartoncino, 41 x 24 cm, Comune di Arco ©.
 
Cosa può raccontarci dell’acquisizione del Comune di Arco del dipinto «La Pompeiana»?
«L’acquisizione de La Pompeiana è il secondo motivo che ha dato il La alla mostra su Segantini in Brianza: da una parte, come ho detto, la possibilità di avere una collezione così ricca e puntuale rispetto a questo argomento e dall’altra l’acquisizione magnifica, da parte del Comune di Arco, di questo stupendo dipinto, entrato a far parte della collezione nel 2020 ed esposto oggi per la prima volta.
«La Pompeiana raffigura una ragazza che si sporge sulla riva di un ruscello, probabilmente il Lambro, nell’atto di raccogliere dell’acqua. Un soggetto molto popolare, in quegli anni Segantini riprendeva persone e luoghi a lui familiari. È un dipinto di cui esistono alcune repliche, in varie versioni, quello esposto ad Arco ha una grande particolarità: è dipinto su un fondo d’oro, una caratteristica sperimentale di questi anni dell’artista.
«Il titolo del dipinto è particolare perché non ha nulla a che vedere con Pompei, deriva dall’antico nome con cui veniva chiamata, nell’Ottocento, la città di Lodi: Laus Pompeia. Pompeiana era quindi una ragazza di Lodi.
«Il dipinto si configura come una delle opere principali del percorso segantiniano ad Arco. Un percorso che conta al suo attivo, come ho accennato prima, una ventina di quadri che partono dal primissimo periodo, ci sono molte nature morte, c’è l’Autoritratto, c’è Il Campanaro, opere che si riferiscono agli anni milanesi; poi la parte brianzola e alla fine opere che si riferiscono alla fase più simbolista di Segantini, di piccole dimensioni ma molto significative.
«Fra queste il disegno de La Vanità, una delle opere più simboliste del pittore; il quadro si trova a Zurigo, il disegno, invece, si trova presso la Cassa Rurale di Arco ed è esposto in museo.»
 
Chi era, in breve, questo pittore, considerato uno degli artisti più geniali dell’Ottocento europeo?
«Segantini è un pittore che nella sua vita sceglie di vivere, dopo la Brianza, in alta quota, a Maloja, un paese della val Engadina che, proprio alla fine dell’Ottocento, si stava trasformando da zona montana, rurale, in luogo di turismo d’eccellenza dell’aristocrazia e borghesia non solo europea, pensiamo a St. Moritz.
«La scelta di trasferirsi con la famiglia in Engadina non è casuale. Da una parte c’è una ricerca di purezza della luce, della luce d’alta quota, di un’aria incontaminata, rarefatta; dall’altra, c’è anche la decisione oculata di trasferirsi in un luogo amato dal jet set internazionale, quindi con la possibilità di commissioni molto importanti. Sono anni di profondo isolamento ma di grande successo sul mercato.
«Segantini si stabilisce nello chalet Kuoni, ma non vive come un eremita in alta quota, vive come un principe della montagna, circondato dalla bellezza, il valore che insegue tutta la vita: nella sua casa ci sono dipinti e libri antichi, cinquecentine, stoviglie di alta manifattura. Insegue questa idea di luminosità assoluta che è quella che, dal punto di vista tecnico, ricerca attraverso la scelta di iniziare a dipingere non più in senso accademico ma per piccoli tratti di colore, adottando la tecnica della pittura divisa per cercare il valore massimo espressivo della luce, della luminosità.»
 

Giovanni Segantini, Ritorno dal pascolo, (1882-1884), olio su tela, 78 x 74 cm, Collezione privata ©.
 
A quando risale la sua prima mostra?
«La sua prima mostra risale agli anni Ottanta; nel 1883 espone ad Anversa, nello stesso anno espone anche a Roma, a una grande mostra dove il Trentino è rappresentato da Segantini, Bezzi e Malfatti.
«Agli inizi degli anni Ottanta inizia la sua attività espositiva, che diventa sempre più importante: non c’è esposizione internazionale, da Londra a Venezia, Parigi, dove non vengano esposte sue opere.
«L’ultima, la più importante, sarà l’Esposizione Universale di Parigi del 1900, la grande Expo di inizio secolo, a cui lui purtroppo non potrà partecipare, morirà infatti nel settembre del 1899, colpito da un attacco di peritonite sul monte Schafberg, dove era salito per lavorare al Trittico della Natura; saranno poi esposti in mostra i tre capolavori di Segantini.»
 
Quando avviene la svolta simbolista dell’artista?
«Segantini era entrato nella scuderia di Grubicy come pittore di valori intimisti, legati alla natura. A un certo punto, però, in lui emerge, attraverso l’adesione al Divisionismo, questa voglia di dipingere l’assoluto, di dipingere la luce e di muoversi verso un terreno, quello della pittura simbolista, non sicuro.
«Grubicy cerca di distoglierlo dall’aderire al simbolismo internazionale, il suo consiglio è quello di mantenersi su una linea molto più cauta, più naturalista. Invece Segantini, a partire dagli anni Novanta, inizia a produrre dei capolavori come Le cattive madri, Nirvana, Il castigo delle lussuriose, La vanità di cui ho accennato prima, che sono trasposizioni nella natura di simboli universali, legati quasi sempre alla figura della Madre natura e della maternità in generale.»
 
A Monaco ha luogo la prima mostra ufficiale della Secessione. La medaglia d’oro viene assegnata a «Mezzogiorno sulle Alpi». Può commentare il dipinto?
«Il dipinto viene premiato perché è molto innovativo rispetto alla pittura europea esposta. Segantini dimostra di essere un fuori classe nel raccontare questa idea di luce assoluta, con una forza espressiva che lui riesce a raggiungere attraverso la tecnica del divisionismo, ma immaginando un soggetto molto semplice, quello di una contadina che sui pascoli d’alta quota si ripara dalla luce accecante, violenta.
«Questo quadro si impone all’attenzione della critica, sposando anche il gusto del pubblico, proprio perché coniuga due valori: quello del naturalismo, molto noto e comprensibile dai tempi, e quello di una luce che si fa simbolo di qualcosa al di sopra e al di fuori dell’aneddoto naturalista.»
 

Giovanni Segantini, L'ultima fatica del giorno, (1885), disegno a penna e inchiostro su carta, 295 x 220 mm, Collezione privata ©.
 
Fra l’altro è consulente artistica per il volume «Il cercatore di luce», scritto da Carmine Abate, dedicato a Segantini. Può parlarci del «Trittico della natura» legandolo al racconto?
«Il cercatore di luce di Carmine Abate parte con una suggestione potente che lo scrittore ha avuto osservando il Trittico della natura di Segantini, esposto a St. Moritz. Il museo di St. Moritz viene costruito nel 1908 per ospitare queste enormi tele, La vita, La natura, La morte, che sono un po’ il testamento finale dell’artista. In particolare, una riprende il tema della maternità; c’è una donna sotto un albero che allatta un bambino, è il tramite fra la terra e il cielo, fra le radici che si insinuano dentro la terra e le fronde che si spingono verso l’alto. Abate pone l’attenzione su questo quadro, dando il via a un racconto che tocca tre generazioni: una è la generazione attuale, l’altra è quella dei nonni, la terza è quella dei bisnonni; la storia della famiglia Segantini si intreccia con le storie dei protagonisti del racconto. Sullo sfondo di tutto ciò, i tre grandi quadri che compongono Il Trittico della natura
 
Lei è un’apprezzatissima curatrice museale: può darci qualche anticipazione su progetti futuri o sogni nel cassetto?
«Speriamo che più che un sogno nel cassetto diventi un progetto realizzato, questo è il mio auspicio: sto lavorando a un progetto a cui tengo moltissimo, perché darà idea non soltanto del valore di Segantini in quanto artista, ma cercherà anche di mettere a fuoco alcuni caratteri della sua personalità, del suo carisma.
«Verranno esposte opere e fotografie legate al tema dell’esplorazione dei ghiacciai, luoghi molto amati e rappresentati da Segantini. Ci saranno alcuni scatti che lo immortalano mentre si trova sui ghiacciai, dove andava in cerca di spunti per i suoi dipinti. Sono fotografie stupende, realizzate da una fotografa americana che, con la sua attrezzatura, accompagnava spesso queste spedizioni di fine Ottocento, in alta quota.
«Enormi distese di ghiaccio compaiono non solo nei quadri dell’artista, ma anche nelle foto che lo immortalano in occasione di queste spedizioni. Questa mostra vuole mettere assieme alcuni elementi che riguardano l’esplorazione dei ghiacciai, il carisma di Segantini, attraverso gli autoritratti che si trovano presso il museo di St. Moritz; il terzo importante elemento è una riflessione sulla sostenibilità, la mostra si chiuderà, infatti, con una piccola sezione dedicata all’opera di un fotografo contemporaneo che, attraverso i suoi scatti, mostra i teli utilizzati attualmente per proteggere i ghiacciai.
«Segantini tra i ghiacci
, questo sarà forse il titolo provvisorio dell’esposizione, avrà presumibilmente luogo in primavera-estate 2022, a patto che, naturalmente, si riescano a trovare i fondi per poterla realizzare.»

Daniela Larentis – [email protected]


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