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Quegli adolescenti arrabbiati – Di G. Maiolo, psicoanalista

A che serve dire «Tolleranza zero» quando poco o nulla viene fatto per educare al rispetto, alla legalità o alla gestione dei conflitti?

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Una volta c’erano gli «sdraiati», indolenti e apatici e oggi ci sono rissosi, quelli con spranghe e bastoni che si azzuffano e si feriscono.
Tra questi due estremi generalmente vive e cresce una gioventù polarizzata che oscilla tra l’abulia di cui scriveva Michele Serra (Gli sdraiati, Feltrinelli) e la violenza su se stessi e sugli altri.
Le cronache sembrano dirci quotidianamente che questa generazione è in preda a una rabbia incontenibile, incapace di governare emozioni e sentimenti.
Io non giustifico mai la violenza, anche se credo sia urgente cogliere cosa c’è dentro i comportamenti di una generazione che vive l’incertezza continua e la paura del futuro.
 
Si dirà che la turbolenza in questa fase della vita c’è sempre stata. Forse però era fisiologica e definita mentre adesso è pervasiva e contagiosa, che gli adulti non sanno contenere. Si cresce per lo più da soli, e non è una novità che dalla solitudine nasca la rabbia e l’insoddisfazione o che l’aggressività diventi violenza.
Così tu li pensi tranquilli e adattati se non hanno problemi scolastici da segnalare, mentre invece soffrono di un vuoto relazionale incredibile.
Non ne parlo per sentito dire: li ascolto continuamente in consulenza quando vengono a chiedere di essere aiutati per un malessere che non sopportano e non comunicano.
 
Ma poi li vedo anche in altri contesti, ad esempio all’università, alle mie lezioni di psicologia e a volte intercetto nei loro silenzi e negli sguardi, l’incertezza e l’inquietudine per quell’adolescenza lunga che stanno vivendo.
Però mi sorprendono sempre gli adulti che dicono «Possibile che sia stato lui a fare quello che ha fatto? Possibile tutta quella rabbia e quella violenza?».
Il problema è loro ma anche nostro. Perché la domanda dovrebbe essere: quanto li osserviamo? In che misura li ascoltiamo?
Ci aspettiamo che parlino mentre loro comunicano con il corpo e noi leggiamo le azzuffate al parco come disadattamento, quando hanno un grande bisogno di visibilità e di attenzione in un mondo di indifferenza diffusa.
 
La guerriglia è lo «spettacolo» cui partecipare perché vuol dire «Se ci sei esisti!» conti per qualcuno. Magari per il branco!
Proviamo a metterci nei loro panni e chiediamoci come ci possono percepire. Credo che avvertano il nostro disorientamento e la difficoltà che abbiamo a riordinare il mondo.
Lo cogli dal fatto che gli adulti di fronte a risse, violenze tra i pari, stupri e femminicidi, non trovano altro che incrementare le punizioni, aumentare le telecamere urbane e la presenza delle forze dell’ordine.
A che serve dire «Tolleranza zero per gli episodi di violenza» quando poco o nulla viene fatto per educare al rispetto, alla legalità o alla gestione dei conflitti.
Chiediamoci se è utile attivare nelle scuole superiori gruppi di lavoro sul cyberbullismo quando il bullismo, quello minaccioso e offensivo, colpisce già alla primaria senza che nessuno se ne accorga.

Dovremmo penarci prima. e poi smettiamola di dire che questa è un’emergenza giovani, quando viviamo una realtà sociale che incrementa la cultura dell’odio e della violenza.
Spetta alla scuola (anche se non solo ad essa) mettere in atto cambiamenti strutturali e proporre alle famiglie un rinnovato patto educativo che sappia coinvolgere sul piano formativo docenti e genitori.

Giuseppe Maiolo - Psicoanalista
Università di Trento

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