Educare al maschile per far diventare uomini – Di G. Maiolo
La domanda è se li stiamo educando al maschile e con quali modelli culturali
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Le giornate di novembre che ogni anno ricordano i diritti dell’infanzia e la violenza sulle donne si rincorrono a pochi giorni l’una dall’altra.
Ma nonostante le manifestazioni, le conferenze o le marce, non sembra crescere come dovrebbe l’indignazione per quei 4 maschi su 10 che ritengono ancora una donna sempre capace di sottrarsi alle molestie sessuali, se davvero lo vuole!
O per i 2 uomini su 10 che “giustificano” la violenza in quanto conseguenza del modo di vestire provocante di una donna.
Parlando poi di diritti dell’infanzia sembra non turbare più di tanto la povertà educativa che attraversa la generazione Alpha, quella dei nati dopo il 2012, gli attuali preadolescenti che non conoscono il mondo senza internet e i social.
Quelli che sembrano destinatari delle nuove trascuratezze, come uno sguardo genitoriale distratto, più rivolto ai display performanti che a loro.
Se la genitorialità è mancante di attenzione, l’educazione è carente. È allora diventa povero di energia educativa e relazionale l’essere madri e padri di maschi che devono diventare uomini.
La domanda è se li stiamo educando al maschile o meno e con quali esempi o modelli culturali.
Non riconoscere che la mattanza delle donne è una questione legata al potere maschile e all’incapacità dei maschi di gestire sentimenti come la rabbia e la gelosia, impoverisce il progetto educativo.
Iniziare a trattare in adolescenza la gestione dei conflitti e come si chiamano le emozioni che si vivono è tardi se non ne abbiamo mai parlato ai bambini a casa e alla Scuola dell’infanzia.
Serve più di tutto educare alle relazioni con laboratori sulla comunicazione affettiva dove fornire strumenti per la gestione dei conflitti. E insegnare ad affrontarli per poi saperne uscire con il confronto.
Conta che gli adulti rivedano espressioni come «Non urlare!» (urlando) o «Non rispondermi in questo modo» che non servono.
I figli vanno educati precocemente all’autocontrollo e dovrebbe saperlo fare prima la famiglia e poi la scuola insegnando a litigare bene e a non a evitare il litigio ma fornendo ai piccoli strumenti per saper mediare e negoziare.
Poi educare al rispetto delle femmine, vuol dire sapere che la virilità dei maschi non centra con il machismo e con l’idea che i maschi devono essere forti.
Cominciamo a rivedere frasi ancora in voga come «Ora che sei un ometto…» o «Amore, i maschi non piangono!».
C’è bisogno di padri che in adolescenza facciano un passo avanti nella comunicazione affettiva, affianchino le madri e prendano in mano di più il progetto educativo dei loro figli (maschi soprattutto).
Padri più capaci di ascoltare che parlare di calcio per rompere il silenzio. Padri che sanno dire i sentimenti e le emozioni che provano senza vergogna.
C’è un libro «Per Diventare uomini» (A. Mondadori editore) in cui l’autore il poeta Robert Bly dice che i maschi hanno bisogno di un padre attento e vicino, anche quando fisicamente distante, in grado di narrare di sé e raccontare dei propri successi come dei fallimenti.
I figli hanno necessità di un genitore che li aiuti a rintracciare dentro il proprio maschile, quei sentimenti di aggressività e di tenerezza, di forza e di dolcezza come polarità emozionali che esistono e sono da riconoscere, saper nominare e gestire.
Giuseppe Maiolo - psicoanalista
Università di Trento
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