Il crollo del ponte di Genova e la politica sotto l’ombrellone
Un salvagente agli uomini di Stato che escono con affermazioni ferragostiane
La reazione che hanno avuto alcuni uomini del Governo - parliamo di Di Maio, Toninelli e Salvini - alla notizia del crollo del ponte Morandi ci ha lasciati perplessi.
Mentre il presidente del Consiglio Conte si è recato sul posto per rappresentare la vicinanza del Paese alle vittime e per impegnare l’esecutivo a far sì che certe cose non accadano più, i vice premier e il ministro delle infrastrutture e dei trasporti hanno tuonato contro i «colpevoli».
Ma, intendiamoci, non hanno aggiunto «presunti», come avrebbe fatto qualsiasi giornalista. Anzi, come se fosse un magistrato, Toninelli ha aggiunto che «dovranno subire il massimo della pena».
Poi, già che l’appetito vien mangiando, hanno pensato a multe super milionarie, a revoca delle concessioni, e - per non far nomi, Salvini - a dar colpa all’Europa che non lascia «spendere i soldi che ci sono».
Naturalmente in realtà il nostro è un Paese di Diritto, per cui le cose verranno fatte come si deve.
I margini per la revoca della concessione sono minimali, basti pensare che oltre ai problemi giuridici, ci sono quelli finanziari e, cosa non da poco per quanto dimenticata in questo frangente, quelli politici.
Una concessione è revocabile se ci sono gravi motivi. E Autostrade per l’Italia non si trova in una situazione facile da questo punto di vista, dato che il Ponte di Genova è solo l’ultimo episodio, e certamente il peggiore.
Ma le incognite giuridiche sono sempre in agguato. Non sarà facile per il Ministero dettagliare le accuse da muovere alla società, basti pensare alle stesse responsabilità del Ministero, che è strutturato per effettuare a sua volta i controlli di legge.
Gli aspetti finanziari sono enormi. Lo Stato ha sempre affidato le concessioni per la semplice ragione che non vuole mettere quattrini.
In altre parole, ammesso che si riesca a revocare una concessione, si deve pur sempre trovare un altro soggetto disponibile a subentrare mettendo i miliardi necessari per assumere la concessione e rivedere tutto l’impianto della viabilità.
L’aspetto politico è quello più affascinante. Il ministro Toninelli tuona contro i Benetton dopo che il suo partito ha bocciato alla grande il progetto di sostituzione del ponte crollato ieri.
«Durerà altri cent’anni!» avevano gridato contro i politici che temevano che il ponte non avrebbe retto altri 10 anni (è crolalto dopo sei).
Per non parlare di Beppe Grillo, che a suo tempo aveva tenuto uno show contro l’idea immorale di investire in strutture nuove proprio a Genova. Da comico che non fa ridere si è passati al comico che fa piangere.
Ma Grillo non è un uomo di Stato, quindi torniamo all’argomento di fondo.
Ii ministri che tuonano apertamente e senza mezzi termini contro Benetton, i quali «pensano solo a fare soldi e a non pagare le tasse in Italia», sono uomini di stato. Hanno il dovere di pensare a quello che dicono, perché generano risultati incontrollabili.
Il risultato che sui social gli internauti si sono scagliati contro i Benetton è inaccettabile in un paese democratico.
Noi non siamo qui per difendere i Benetton, sia ben chiaro, ma di sicuro la famiglia trevisana ha diritto al rispetto del paese fino a che non si dimostri che la colpa del crollo sia effettivamente personalmente loro.
Per questo gettiamo un salvagente alla politica ferragostana, affinché non anneghi in un mare di cavolate.
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