Il salvagente all’Aquila, per la rarissima iperbole tendente a limite
Sette gli indagati, tra i quali F. Barberi e B. De Bernardinis A processo per non aver saputo prevedere un terremoto
L'iperbole (dal greco
«eccesso») è una figura retorica che consiste nell'esagerazione
nella descrizione della realtà tramite espressioni che
l'amplifichino, per eccesso o per difetto.
Per la verità, abbiamo assistito anche all'adynaton, che
sarebbe l'iperbole che ha forma di paradosso. E perfino
all'understatement, che sarebbe la figura retorica
contraria dell'iperbole.
Esempi. È un'iperbole dire «ho il cuore grande come un a
casa».
«È più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un
ago, che un ricco entri nel regno dei cieli»? Bene, questo è
un adynaton.
Dopo anni di ricerche in Africa per trovare David Livingstone,
Henry Morton Stanley si espresse con un celebre understatement:
«Livingstone, I suppose…»
Ed ora proviamo a trovare in natura qualcosa che raggruppi queste
tre figure retoriche, all'apparenza uguali e contrarie, ma in
realtà strettamente correlate.
Mentre in tutto il mondo gli scienziati (e i sedicenti tali)
cercano indizi che consentano di prevedere i terremoti, a L'Aquila
siamo avanti anni luce.
Il modo è semplice, quello del combinato disporto
dell'iperbole, dell'adynaton e
dell'understatement.
Ci riferiamo al processo alla Commissione Grandi Rischi, quello che
si sta celebrando al Tribunale de L'Aquila.
Sette gli indagati, tutti illustri: Franco Barberi, presidente
vicario della Commissione Grandi Rischi; Bernardo De Bernardinis,
già vice capo del settore tecnico del dipartimento di Protezione
Civile; Enzo Boschi, all'epoca presidente dell'Istituto nazionale
di geofisica e vulcanologia; Giulio Selvaggi, direttore del Centro
nazionale terremoti; Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e
responsabile del progetto C.a.s.e.; Claudio Eva, ordinario di
fisica all'Università di Genova; Mauro Dolce, direttore
dell'ufficio rischio sismico di Protezione civile.
Secondo le tesi della Procura, nella riunione dell'organismo
consultivo della presidenza del Consiglio del 31 marzo 2009 (una
settimana prima della scossa che distrusse l'Aquila), ci fu
«una valutazione del rischio sismico approssimativa, generica e
inefficace in relazione alla attività della commissione e ai doveri
di prevenzione e previsione del rischio sismico».
Il risultato fu che, dopo quella stessa riunione, la Commissione
fornì alla gente «informazioni imprecise, incomplete e
contraddittorie sulla pericolosità dell'attività sismica
vanificando le attività di tutela della popolazione».
Insomma, se non è stato trovato un metodo scientifico per prevedere
i terremoti, è stato trovato il metodo giuridico per indagare di
omicidio colposo, lesioni personali colpose e cooperazione nel
delitto colposo, degli scienziati che non sono riusciti a
prevederli.
Così si fa.
Il parallelo tra l'iperbole retorica e quella giuridica la lasciamo
ai lettori.
Ma con un esimente.
Dagli studiosi è stato messo in luce che l'iperbole presuppone la
«buona fede» di chi la usa.
Non si tratta infatti di un'alterazione della realtà al fine di
ingannare ma, al contrario, allo scopo di dare credibilità al
messaggio, attraverso un eccesso nella frase che imprima nel
destinatario il concetto che si vuole esprimere.
Tradotto in tre parole, si tratta di un semplice «eccesso di
zelo».
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